Lombardia preistorica e protostorica

Incisioni camune

Pubblicherò, per qualche soledì, alcuni articoli sulla storia della Lombardia, soffermandomi in particolare sul cuore insubrico-orobico della nostra nazione. A seguire, degli scritti storici circa Bergamo e la Bergamasca.

La “Lombardia” del Pliocene (l’epoca più recente dell’era cenozoica o terziaria, fra i 5 e i 2 milioni di anni fa) aveva un’estensione territoriale differente da quella attuale.

Mentre l’arco alpino era ben definito, la Pianura Padana era ancora del tutto assente. Questa deve la sua formazione al deposito dei detriti portati a valle dal fiume Po e dai suoi affluenti nel corso dei milioni di anni successivi fino ad oggi; inoltre, alla spinta tettonica che la placca africana esercita contro la placca europea [1]. Tale spinta, nel corso delle centinaia di migliaia di anni, ha fatto sollevare la crosta terrestre dell’Europa, e in particolar modo dell’Appenninia e della Lombardia, di alcune decine di metri.

Questi due fattori combinati insieme hanno fatto sì che al posto dell’Adriatico, che occupava il Golfo Pliocenico Padano, abbiamo oggi una verdeggiante pianura tra le più fertili e ricche (purtroppo anche inquinate e cementificate, conseguenza, non da ultimo, della sovrappopolazione immigrata) d’Europa.

Durante l’ultima glaciazione (Würm), quella che interessò le Alpi tra i 110.000 e i 12.000 anni fa, la Lombardia alpina e prealpina presentava compatte calotte glaciali e ghiacciai montani. I ghiacciai montani e pedemontani modellavano il territorio asportando virtualmente tutte le tracce delle precedenti glaciazioni di Günz, Mindel e Riß, depositando morene di base e morene terminali di differenti fasi di ritrazione, e accumuli di löss (argille sabbiose finissime e giallastre di origine eolica), e spostando e ri-depositando le ghiaie attraverso i fiumi che scendevano dai ghiacciai. Al di sotto della superficie, essi ebbero un’influenza profonda e duratura sul calore geotermico e sulle tipologie di flusso delle acque sotterranee.

I celeberrimi laghi prealpini lombardi si formarono proprio in questo periodo, dalla ritirata dei ghiacciai.

Durante l’ultima glaciazione, va anche detto che la Val Padana appariva decisamente decentrata ed estesa rispetto ad oggi, tanto che il Po sfociava nell’Adriatico all’altezza di Ancona.

Le prime tracce circa la presenza dell’uomo nella Cisalpina rimontano al Paleolitico. La presenza dell’Uomo di Neanderthal è dimostrata da ritrovamenti risalenti a 50.000 anni fa, sebbene scarsi rispetti al resto d’Europa. La comparsa dell’uomo moderno, invece, è da attribuire a 34.000 anni fa (Paleolitico superiore), stando ai reperti.

Nel Neolitico (VI millennio avanti era volgare) si cominciano ad intravvedere le prime forme concrete di civiltà, grazie alla diffusione della ceramica impressa. Si affermano i manufatti di origine ligure anariana, e gli individui appartenenti a questo filone artigianale possono dirsi di tipo mediterraneo. La Cultura della ceramica cardiale si originò, però, nel Levante e giunse in Padania dai Balcani, innestando nella mediterranea, e arcaica (cromagnoide), valle del Po il tipo dinarico.

Il Neolitico è il fondamentale strato lombardo, da un punto di vista genetico, ed è quello che accomuna, in senso mediterraneo e (meno) levantino antico, l’Europa sudoccidentale. La principale differenza etno-razziale fra gli “italiani” deriva dal fatto che più si scende verso il Mediterraneo e più si riscontrano influssi egeo-anatolici e mediorientali, anche recenti (età romana imperiale e tardo-imperiale). Naturalmente, le componenti anatolico-caucasiche e levantine degli italiani etnici meridionali non fanno di essi fratelli di coloro che abitano oggi Asia Minore e Medio Oriente, perché recate da genti mescolatesi con gli indigeni; altresì, Arabi [2], Ebrei, Saraceni, Ottomani hanno influito superficialmente, a livello genetico, sull’Ausonia, poiché essa deve il suo genoma esotico principalmente a popolazioni greche e coloni levantini di età romana.

Gli uomini neolitici, dediti ad attività agricole, erano organizzati in società matriarcali incentrate su figure femminili, non solo a livello gerarchico e sociale ma anche culturale: culti ctoni, lunari, legati alla fertilità, al ciclo delle stagioni e alla Madre Terra, la Dea Madre: tutto da lei nasceva e a lei ritornava (quindi, rito funerario dell’inumazione) [3].

Erano società pacifiche, imbevute di artisticità, artigianato, raffinatezza, ricchezza e benessere. Per quei tempi, si capisce.

Gli oscuri Liguri, popolo di base preindoeuropea che si estendeva dalla Francia sudoccidentale alla Toscana settentrionale, erano eredi di questa temperie culturale, anche se nel tempo furono indoeuropeizzati. Il loro endoetnonimo, secondo gli storiografi antichi, era Ambrones, palesemente indoeuropeo, e facilmente accostabile a quello degli italici Umbri e degli omonimi Ambrones germanici. Dovrebbe ricollegarsi al celtico *ambr- e al latino imber, che significano ‘acqua, pioggia’, e quindi anche ‘fiume, torrente’.  

Durante l’Età dei metalli, comparve nel cuore della Lombardia la Cultura di Remedello (III millennio a.e.v.). In questa fase (Età del rame), abbiamo i prodromi delle prime vere grandi civiltà protostoriche cisalpine. Elementi caratteristici del periodo sono i megaliti (statue stele, statue-menhir in Lombardia) e il vaso campaniforme.

La protostoria europea cominciò proprio col Calcolitico e arrivò fino all’Età del ferro, passando per quella del bronzo.

L’Età del rame, di Remedello, vide il fiorire del megalitismo anche in area padana, dove la Val Camonica cominciò ad emergere culturalmente grazie alle stele antropomorfe; sul finire del Calcolitico, comparve la Cultura del vaso campaniforme, che portò in Lombardia elementi di origine franco-iberica e centro-europea (delle avanguardie indoeuropee, in questo caso). La fase finale di Bell Beaker (all’inglese) fu infatti indoeuropeizzata nel Centro Europa, entrando in contatto con le ondate ariane provenienti dalle steppe ponto-caspiche. Pare che il tipo fisico di questa cultura fosse brachicefalo, sul dinarico.

La civiltà camuna esplose nell’Età del bronzo (II millennio a.e.v.), producendo le celeberrime incisioni rupestri (principiate comunque nel Mesolitico), dove cominciarono a comparire i primi simboli solari e guerrieri di origine ariana penetrati in Padania dalle Alpi Centro-Orientali. I Camuni erano, di base, un popolo alpino reto-ligure (i Reti erano dei tirrenici al pari degli Etruschi, ma senza influssi anatolico-caucasici recenti), certamente arianizzato soprattutto nel Ferro. A sud della Camunia, erano attestati gli Euganei, una popolazione ligure, o alpina [4]. Altro popolo alpino del Bresciano erano i Triumplini.

Reti erano pure i Vennoneti della Valtellina, e non a caso parte delle suddette incisioni sono state trovate anche nel settore orientale della provincia di Sondrio.

All’Età del bronzo appartiene pure la Cultura di Polada, che interessò soprattutto la Lombardia orientale, intrisa di elementi “mittel” di filiazione indoeuropea.

Finalmente, nella tarda Età del bronzo (XIII secolo a.e.v.), ecco la Cultura dei campi di urne, indoeuropea, proveniente dall’area centro-orientale dell’Europa, che in Lombardia trovò linfa vitale grazie a Canegrate e al proto-Golasecca, in Insubria. Nella Bassa lombarda, invece, si fece sentire l’influenza protovillanoviana, e poi villanoviana (etrusca), di culture collegate ai proto-Italici e ai proto-Latini, senza dimenticare le terramare, fra Regione Lombardia e Regione Emilia-Romagna.

La Cultura di Golasecca (prima Età del ferro, preceduta dalla fase protogolasecchiana del Bronzo finale) andava dal fiume Sesia al Serio ed era proto-celtica/celtica, emanazione di quella di Hallstatt; riunì elementi delle precedenti Culture di Polada (Liguri palafitticoli indoeuropeizzati), della Scamozzina (Liguri indoeuropeizzati) e di Canegrate (Celto-Liguri) nascendo attorno al XII secolo avanti era volgare, e vide come protagonisti gli Insubri pre-gallici, gli Orobi che fondarono Como, Lecco e Bergamo, e i Leponzi stanziati nel Ticino [5]. Costoro, fondendo caratteristiche mediterranee e preindoeuropee liguri con l’identità indoeuropea, virile, solare, guerriera, nordica, gettarono le basi della Lombardia preromana, irrobustite poi dai Galli storici, dai Gallo-Romani e da Goti e Longobardi, popoli germanici originari, si dice, della Svezia meridionale.

Fortificazioni, armi e oggetti in bronzo e in ferro (usati anche come corredo funebre), campi di urne [6], culti solari e celesti, monili ariani e solari, allevamento di cavalli, uso del carro da guerra, cittadelle, classici toponimi in -ate e tracce della varietà linguistica del celtico parlato allora nella Lombardia insubrica centro-occidentale (leponzio), erano alcune delle principali peculiarità della celtica civiltà di Golasecca, che svolgeva, oltretutto, un importante ruolo di mediazione culturale e commerciale fra i Celti continentali e il mondo mediterraneo, specie etrusco.

Le migrazioni ariane in Padania andarono dalla media Età del bronzo (metà del II millennio a.e.v.) al V-IV secolo a.e.v. (Età del ferro, iniziata nel I millennio avanti era volgare). E proprio in questo periodo irruppero i Galli storici.

Le invasioni storiche dei Galli continentali resero di fatto Gallia Cisalpina il territorio compreso tra la fascia alpina meridionale e l’Appennino settentrionale e tra le Alpi Occidentali e Orientali, soprattutto la cosiddetta Gallia Transpadana (rispetto a Roma [7]), che andava dal Piemonte al fiume Oglio e dallo spartiacque alpino al fiume Po.

Le ondate galliche portarono i Biturigi del mitico Belloveso alla fondazione di Milano [8], la nostra capitale, e occuparono lo spazio geografico che già fu dei golasecchiani; i Cenomani del, parimenti, leggendario Elitovio fondarono Brescia e occuparono il suo contado e quello di Cremona, Mantova, Trento (?) e Verona; i Boi si stanziarono in Emilia, ma anche nel Lodigiano, e liquidarono gli Etruschi (un impasto mediterraneo-villanoviano, preindoeuropeo-indoeuropeo, con una tarda fase culturale orientalizzante), che precedentemente erano arrivati a lambire la Bassa lombarda transpadana, sfruttandola più che altro per motivi commerciali (vedi il famoso emporio mantovano del Forcello).

I Galli trovarono una realtà transpadana occidentale già in parte celtizzata, instaurando un continuum etnico che sarebbe poi quello leponzio-gallico continentale che ha fatto da sostrato linguistico ai dialetti gallo-italici.

Prima che i Romani conquistassero gradualmente la Lombardia, annettendola all’organismo italico, i Galli cisalpini suddivisi in tribù celtizzarono il territorio – continuando l’opera dei proto-celtici predecessori – da un punto di vista culturale e razziale, trovandosi a loro agio tra alture, colline, pianure, in riva ai nostri laghi di origine glaciale e in mezzo alla sterminata foresta planiziale di farnie, carpini e frassini che ricopriva la Pianura Padana.

Il Celta, come si sa, amava immergersi nella continentale natura circostante, una caratteristica che comunque ritorna nella tipica religiosità indoeuropea, fondata com’è sul sangue della stirpe e il suolo della patria.

La toponomastica lombarda divenne fortemente gallica [9]; il carattere celtico della lingua indigena si rafforzò; sorsero sempre più abitati fortificati posti in collina (i famosi “duni”); inumazione e incinerazione dei cadaveri, a seconda della tribù gallica, caratterizzarono i riti funebri della popolazione; la costruzione di santuari e la dedicazione di boschi sacri costellò le contrade padano-alpine; la produzione di manufatti celtici, stavolta soprattutto in ferro (armi in particolar modo), accompagnò la Cisalpina sino alla piena romanizzazione. L’Età del ferro è l’epoca celtica per antonomasia, nella Grande Lombardia.

La schiatta gallica, composta – soprattutto a livello elitario – da nordidi del tipo Keltic, biondi, fulvi, castani, con occhi verdi o azzurri, con lunghi mustacchi e lunghi capelli, alti e robusti, bellicosi e pervasi dal furore, nordicizzò la Lombardia, contribuendo, assieme ai popoli germanici, al concreto apporto nordeuropeo che contraddistingue l’identità della terra fra Alpi e Po, con l’appendice cispadana.

In termini antropologici, però, la Lombardia si basa primariamente sull’elemento alpino e atlanto-mediterraneo, con un importante contributo dinarico che si irrobustisce procedendo verso est; il dato alpino viene erroneamente definito “celtico” perché assai diffuso nelle Gallie e nell’Europa centrale, dove la civiltà celtica/gallica si sviluppò grazie a Hallstatt e La Tène, per poi irradiarsi in buona parte dell’Europa.

L’identità della Lombardia, specie occidentale, è fortemente celtica, e affonda le radici nel periodo di Canegrate, mille anni prima della calata dei Galli di Cesare, fiorendo durante il golasecchiano ed esplodendo grazie all’apporto dei transalpini. Ma merita considerazione anche il sostrato ligure, anariano e ariano, e quello reto-etrusco su Alpi e pianura. Non abbiamo trattato del contesto venetico, essendoci concentrati sulla Lombardia etnica segnatamente insubrico-orobica, ma risulta evidente, a partire dal dato archeologico, che la presenza celtica abbia interessato eziandio l’area della Grande Lombardia orientale.

Note

[1] La Padania nasce dalla collisione fra la parte settentrionale della massa africana distaccatasi, la zolla adriatica, e la massa eurasiatica. Dire, dunque, che il nostro territorio è figlio tout court della placca africana è una sciocchezza pressapochistica.

[2] Nel genoma siciliano è stato tuttavia individuato un lascito nordafricano medievale.

[3] Questa è la lettura tradizionale, alla Gimbutas, della cosiddetta Old Europe. Oggi la posizione degli archeologi è decisamente più sfumata.

[4] Termini come ‘ligure’, ‘alpino’, o anche ‘mediterraneo’, nel contesto archeologico tradizionale, indicano il sostrato indigeno, anariano, delle nostre terre.

[5] Altri popoli antichi associati al golasecchiano, secondo l’archeologo Raffaele De Marinis – ai cui scritti rimando -, sono Levi, Marici, Libui o Lebeci, Vertamocori, Agones.

[6] Urnfield, nel mondo anglosassone, indica il peculiare rito funerario del mondo indoeuropeo, l’incinerazione, che si ricollega a precisi schemi e modelli della spiritualità ariana, come il culto del fuoco, della purificazione e degli antenati, e la liberazione dell’anima dalla “prigione” del corpo.

[7] Se adottassimo il criterio “milanese” la Cispadana sarebbe la Transpadana romana, e viceversa.

[8] In realtà, è più probabile che la fondazione di Mediolanum sia avvenuta in epoca golasecchiana; la vicenda dei Galli Insubri va così a sovrapporsi a quella degli Insubri golasecchiani, stando ad un’omonimia non certo singolare, vista la comune appartenenza etnica al mondo celtico.

[9] Tipici suffissi gallici come -aco, -ago, -uno, -uco, -ugo accompagnarono la penetrazione dei conquistatori, prosperando anche in epoca gallo-romana e medievale.

Suddivisione cantonale della Grande Lombardia

Credo sia cosa utile e, si spera, gradita presentare la ripartizione amministrativa lombardista della Grande Lombardia indipendente, che come sapete segue criteri cantonali. Scenderemo nel dettaglio, allegando una cartina esplicativa, disegnata da Adalbert Roncari, ed elencando entità cantonali e loro distretti, con tanto di emblemi realizzati dallo stesso Roncari e da una militante, su indicazione di Paolo Sizzi, che qui ci limiteremo a descrivere. Vale la pena ricordare che, secondo il lombardesimo, il concetto di regione non sussiste più, se non per meri fini demografici e statistici, poiché fomite di regionalismi e poiché gli preferiamo, come detto, quello di cantone, sulla base delle vicende storiche delle città padane precipue e dei relativi comitati/contadi. Ma un criterio importante è dato anche dai confini naturali, specie idrografici, impiegati per conferire forma concreta alla suddivisione politica. Illustreremo per prime le entità amministrative della Lombardia etnica, che è il cuore della Lombardia storica, e via via tutte le altre.

Cartina cantonale della Grande Lombardia

Lombardia subalpina (Piemonte, in giallo):

  • Canton Turin (Taurasia), con i distretti di Torino (capoluogo), Ivrea, Pinerolo, Susa e Aosta;
  • Canton Coni (Bagiennia), con i distretti di Cuneo (capoluogo), Alba, Mondovì e Saluzzo;
  • Canton Lissandria (Ambronia), con i distretti di Alessandria (capoluogo), Asti e Acqui.

Lo stemma di Torino è la bandiera crociata con croce bianca in campo blu, orlata d’oro, risalente all’assedio francese del 1706; quello di Cuneo è l’insegna storica del Marchesato di Saluzzo, d’argento al capo d’azzurro; quello di Alessandria, parimenti, riprende il simbolo del Marchesato e del seguente Ducato del Monferrato, d’argento al capo di rosso.

Lombardia cispadana (Emilia, in rosso):

  • Canton Parma (Marizia Orientale), con i distretti di Parma (capoluogo), Fidenza e Fiorenzuola;
  • Canton Moddena (Boica Occidentale), con i distretti di Modena (capoluogo), Reggio e Carpi;
  • Canton Piasenza (Marizia Occidentale), con i distretti di Piacenza (capoluogo), Voghera e Tortona.

Lo stemma di Parma è la nota bandiera crociata, con croce blu in campo giallo; quello di Modena è il bipartito giallo-blu del comune omonimo; quello di Piacenza è il bipartito rosso-bianco del comune piacentino.

Lombardia transpadana occidentale (Insubria, in azzurro):

  • Canton Milan (Bassa Insubria), con i distretti di Milano (capitale della Lombardia e capoluogo), Busto Arsizio, Monza, Lodi e Pavia (capitale morale della Lombardia);
  • Canton Comm (Alta Insubria), con i distretti di Como (capoluogo), Lecco, Lugano e Varese;
  • Canton Noara (Lebecia), con i distretti di Novara (capoluogo), Vercelli, Biella, Varallo e Vigevano;
  • Canton Locarn (Leponzia), con i distretti di Locarno (capoluogo), Domodossola, Intra e Bellinzona.

Lo stemma di Milano è la Croce di San Giorgio, rossa in campo bianco; quello di Como lo scaccato bianco-rosso del Seprio; quello di Novara la Croce di San Giovanni Battista, bianca in campo rosso; quello di Locarno il bipartito rosso-blu del Ticino.

Lombardia transpadana orientale (Orobia lato sensu, in verde):

  • Canton Bressa (Alta Cenomania), con i distretti di Brescia (capoluogo), Rovato, Desenzano, Darfo e Riva;
  • Canton Bergom (Orobia), con i distretti di Bergamo (capoluogo), Crema, Clusone e Zogno;
  • Canton Cremona (Bassa Cenomania), con i distretti di Cremona (capoluogo), Mantova, Ghedi e Casalmaggiore;
  • Canton Sondri (Vennonezia), con i distretti di Sondrio (capoluogo), Tirano e Chiavenna.

Lo stemma di Brescia è il bipartito bianco-azzurro del comune omonimo; quello di Bergamo il bipartito d’oro e di rosso del municipio bergomense; quello di Cremona il fasciato bianco-rosso del comune cremonese; quello di Sondrio riprende il bianco e l’azzurro della bandiera comunale sondrasca, inquartandoli.

Veniamo ora ai restanti ambiti cantonali della Grande Lombardia, dopo aver passato in rassegna quelli della Lombardia etnica.

Lombardia genovese (Liguria, in marrone):

  • Canton Sgenoa (Ingaunia), con i distretti di Genova (capoluogo), Savona, Rapallo, La Spezia e Massa;
  • Canton Nizza (Intimilia), con i distretti di Nizza (capoluogo), Sanremo e Imperia.

L’insegna di Genova è la classica Croce di San Giorgio, orlata d’oro; quella di Nizza è un fasciato bianco-azzurro che riprende le onde presenti nel simbolo nizzardo (a partire da quello della Contea omonima), sotto all’aquila rossa e ai tre monti.

Lombardia romagnola (Romagne, in arancione):

  • Canton Bologna (Boica orientale), con i distretti di Bologna (capoluogo), Imola, Ferrara e Comacchio;
  • Canton Ravenna (Romagna), con i distretti di Ravenna (capoluogo), Cesena e Forlì;
  • Canton Rimin (Senonia), con i distretti di Rimini (capoluogo) e Pesaro.

Il simbolo di Bologna è, anche in questo caso, la Croce di San Giorgio, orlata di blu; quello di Ravenna è il troncato giallo-rosso della bandiera tradizionale romagnola; quello di Rimini riprende lo scaccato, parimenti giallo-rosso, del blasone dei Malatesta.

Lombardia tirolese (Rezia cisalpina, in blu):

  • Canton Trent (Anaunia), con i distretti di Trento (capoluogo), Cavalese e Cles;
  • Canton Bolzan (Tirolo), con i distretti di Bolzano (capoluogo), Merano, Bressanone, Brunico e Silandro.

Lo stemma trentino riprende quello del Principato vescovile di Trento, con le tre bande orizzontali porpora-bianco-porpora; quello di Bolzano la bandiera bianco-rosso-bianca a strisce orizzontali del comune di Bolzano, con un cromatismo che rimanda alla Contea del Tirolo.

Lombardia veneta (Veneto, in rosa):

  • Canton Venezzia (Venethia), con i distretti di Venezia (capoluogo), Chioggia, Padova, Treviso e Rovigo;
  • Canton Visenza (Cymbria), con i distretti di Vicenza (capoluogo), Bassano e Schio;
  • Canton Verona (Euganea), con i distretti di Verona (capoluogo), Bussolengo, Legnago e Villafranca;
  • Canton Bellun (Catubrinia), con i distretti di Belluno (capoluogo), Pieve di Cadore, Conegliano e Castelfranco.

Lo stemma di Venezia, tramite le bande orizzontali giallo-rosse, riprende la bandiera storica della Serenissima, caratterizzata soprattutto dal Leone di San Marco; quello di Vicenza allude al blasone a strisce orizzontali giallo-verdi dei da Romano (Ezzelini), signori medievali di Vicenza originari del suo territorio; quello di Verona è la nota bandiera crociata con croce gialla in campo blu; quello di Belluno, di nero al capo d’argento, riprende il blasone dei da Camino, casata trevigiana che esercitò il proprio potere fra Treviso e il Cadore.

Lombardia giuliana (Carnia e Istria, in grigio):

  • Canton Triest (Istria), con i distretti di Trieste (capoluogo), Pola e Fiume;
  • Canton Gorizzia (Julia), con i distretti di Gorizia (capoluogo), Aidussina e Tolmino;
  • Canton Udin (Carnia), con i distretti di Udine (capoluogo), Cividale, Gemona, Cervignano e Tolmezzo;
  • Canton Pordenon (Friuli), con i distretti di Pordenone (capoluogo), Maniago e Portogruaro.

Simbolo di Trieste è lo spiedo da guerra, “alla furlana”, bianco in campo rosso; quello di Gorizia il troncato giallo-azzurro tratto dalla bandiera della provincia; quello di Udine il tradizionale scudo bianco-nero della nobile famiglia dei Savorgnan; quello di Pordenone riprende i colori della bandiera pordenonese, rosso-bianco-rossa a bande verticali.

Presentiamo qui, a mo’ di esempio, l’insegna cantonale del Canton Milan – e Milano è la capitale storica della Lombardia etnica e della Grande Lombardia -, per dare un’idea di come siano stati concepiti gli stemmi. Potete reperire gli altri sul profilo Instagram di Paolo Sizzi.

Canton Milan

Ovviamente, le città alpino-padane hanno anche altri simboli, che non sono stati da noi impiegati poiché gli stemmi dei cantoni devono essere semplici e immediati. Gli emblemi peculiari di ogni centro restano patrimonio comunale, naturalmente inscritto nella più ampia realtà cantonale. Il nostro intento, pensando anche alla stessa suddivisione amministrativa di una Grande Lombardia indipendente, è quello di dare degna rappresentanza a tutte le genti cisalpine, dalla politica alla simbologia, nel novero di un etnostato sicuramente unito, coeso e forte ma aperto a blande forme di federalismo, appunto, cantonale. Nulla di paragonabile alla Confederazione Elvetica, fortunatamente, poiché la Lombardia esiste ed è una nazione, dal Monviso al Nevoso e dal Gottardo al Cimone, mentre la Svizzera vera e propria è giusto un cantone alemanno, per quanto dilatata all’inverosimile sino ad inglobare territori granlombardi.

La Lombardia cispadana (Emilia)

Torino, Statua al fiume Po

La Lombardia meridionale tradizionale, che comprende parte della Val Padana, riguarda i territori di Pavia, Lodi, Cremona e Mantova. Nella visione lombardista che ho teorizzato, i due Oltrepò, pavese e mantovano, sarebbero da assegnare all’Emilia, per motivi linguistici e geografici.

E, infatti, la vera Lombardia meridionale comprende i territori cispadani sino al Panaro, inclusi gli Oltrepò e il Tortonese. Per ragioni di influssi culturali le aree di Tortona, Voghera, Piacenza e Suzzara sono le prime ad essere associate alla Transpadana; nel caso del Piacentino si tratta soprattutto della parte centrosettentrionale della provincia, perché quella restante è di influenza ligure. Tuttavia, venendo a parlare di suddivisione cantonale della Lombardia etnica, in questo caso della sezione cispadana, anche le zone tendenti alla Liguria rientrano nel dominio etnico.

La Lombardia meridionale tradizionale, in senso allargato, comprende dunque Tortona, Voghera, l’Oltrepò pavese, Piacenza (fino all’angolo nordoccidentale della provincia di Parma, zone come Busseto, Fidenza e Salsomaggiore), Pavia (con la Lomellina, Vigevano, tendenti al Piemonte), Lodi, Cremona, Casalmaggiore, Mantova e l’Oltrepò mantovano. La Lombardia meridionale lombardista, invece, racchiude tutti i territori a sud del Po, sino almeno al confine orientale costituito dal corso del fiume Panaro.

Grande protagonista delle vicende meridionali è il Padus che dà il nome alla Pianura Padana e che costituisce una frontiera naturale, sebbene non troppo severa viste le reciproche influenze, fra Transpadana e Cispadana. Il vero confine meridionale della Grande Lombardia corre lungo lo spartiacque appenninico, che poi coincide con l’isoglossa Massa-Senigallia.

Il termine ‘Padania’, che non è un etnonimo e si presta a mille inflazioni e banalizzazioni politiche, può essere un utile coronimo da impiegare per definire fondamentalmente l’Emilia, che è il fulcro della Val Padana, della pianura dell’Eridano, per dirla in chiave mitologica. Come sappiamo, l’Emilia deve il suo nome latino alla via che collega Piacenza a Rimini, costruita da Marco Emilio Lepido, console romano. ‘Padania’ può comunque essere un sinonimo geografico di Cisalpina.

La Lombardia medievale inglobava tutta la Padania, specie quella occidentale, dunque Insubria, Orobia, Piemonte, Liguria ed Emilia (basti pensare alla città di Reggio, che prima della sciagurata unificazione tricolore si chiamava Reggio di Lombardia), e il lombardesimo ricalca pertanto l’etnogenesi medievale del popolo lombardo, a partire dal contesto etnico, cioè del bacino padano. Oggi, conservare le specificità regionali classiche appare poco utile, poiché fiacca il nazionalismo lombardo; per tale motivo puntiamo sui cantoni, dunque sui contadi storici, anche perché sovente i toponimi delle regioni sono privi di significato etnoculturale (vedasi ‘Piemonte’ ed ‘Emilia’).

Ci sarebbe poi la Romagna, storicamente distinta dall’Emilia ma non certo remota da essa, soprattutto pensando a Bologna e Ferrara (che il lombardesimo è propenso ad associare alla prima). Linguisticamente si può dire che vi sia un continuum tra Emilia orientale e Romagna, ma la tendenza si può registrare a partire dall’area orientale del Parmense, dove non per caso principia l’assenza delle vocali turbate. C’è pure da aggiungere che diversi linguisti parlano di dialetti emiliano-romagnoli.

A livello miseramente amministrativo, allo stato dell’arte, la Lombardia meridionale comprende le province di Pavia (contigua a quella di Lodi, città fortemente legata alla capitale longobarda, alleata fedele del Barbarossa e in lotta con Milano), Cremona (a cui va tolto il Cremasco ma non l’area di Soresina) e Mantova (a cui andrebbe Casalmaggiore, oggi sotto Cremona e senza Suzzara e l’Oltrepò).

In termini lombardisti, invece, la suddivisione amministrativa ideale della Cispadana ragionata, in cantoni e distretti, sarebbe la seguente:

  • Parma (Marizia Orientale), con Fidenza e Fiorenzuola;
  • Modena (Boica occidentale), con Reggio e Carpi;
  • Piacenza (Marizia Occidentale), con Voghera e Tortona.

La sciocca distinzione tra (Regione) Lombardia ed Emilia banalizza la vera accezione etnica di Lombardia, che riguarda anche il territorio piemontese. Pavia, Lodi, Cremona e Mantova, tradizionalmente meridionali – ma non cispadane -, appartengono a domini distinti: Pavia e Lodi al contesto insubrico, Cremona e Mantova a quello orobico, anche se zone di transizione (eccetto il Lodigiano).

Insegne cantonali di queste province sono la croce parmense blu su sfondo giallo, il bipartito giallo-blu modenese e il bipartito rosso-bianco piacentino. Menzioniamo, comunque, anche la Croce di San Giovanni Battista pavese, lo scudo crociato giallo-rosso lodigiano e la Croce di San Giorgio (con aquile imperiali nere) mantovana.

La Bassa della Regione Lombardia è area ibrida, per così dire, e vi sono influenze reciproche con l’Emilia. Il Po non è un’opinione, e viene adottato anche da noi lombardisti come confine fra Transpadana e Cispadana, ma ribadiamo che entrambe, almeno fino al Panaro nel caso meridionale, sono Lombardia etnica.

I dialetti della famiglia linguistica lombarda, cioè gallo-italica, parlati in queste terre sono quelli classicamente considerati emiliani: tortonese, oltrepadano, piacentino, parmigiano, reggiano, modenese a cui va senz’altro aggiunto il mantovano, specie dell’area oltrepadana. Il pavese è ibrido insubrico-emiliano e il cremonese orobico-emiliano , mentre il lodigiano è piuttosto cisabduano [1]. L’area casalasco-viadanese è mantovana, ricordiamo.

Gli influssi milanesi sul Pavese sono assai forti e lo orientano più verso Milano che verso l’Emilia, e infatti il territorio di Pavia (senza Lomellina e Oltrepò) rientra nel Canton Milano (Bassa Insubria). E, allo stesso modo, anche il Lodigiano è milanese, mentre Cremonese e Mantovano (senza Oltrepò) si associano nel Canton Cremona (Bassa Cenomania).

Tortonese, oltrepadano e piacentino, invece, hanno influssi transpadani che si notano bene, ad esempio, nella presenza delle vocali turbate di origine celto-germanica Å“u e u e di altri fenomeni, anche a livello di lessico e di costrutti fraseologici. Ma rimangono parlate cispadane, “emiliane”.

In fondo, queste aree, come il resto di Lombardia odierna ed Emilia, hanno conosciuto le medesime popolazioni: Liguri, Celto-Liguri, Galli, Romani, Longobardi (giunti tardi nel Bolognese e nel Ferrarese).

Quel che separa Transpadana e Cispadana, oltre alla geografia, è l’antica impronta etnoculturale emiliana, di tendenza italica, villanoviana e dai più forti influssi etruschi (vedasi l’Etruria padana), che oltre il Po giungevano sino a Mantova (ivi si trovava l’emporio del Forcello) [2]. Ricordiamo, ad ogni modo, gli Anamari, o Anari, tra Piacenza e Parma, popolazione forse celto-ligure.

Nella Regione Lombardia meridionale trovarono spazio Liguri (tra cui Levi e Marici ad occidente, ma anche a sudovest del Fiume), Celto-Liguri, Galli (Insubri, Boi, Cenomani) ed alcuni generici influssi proto-italici, villanoviani e quindi etruschi, soprattutto a Cremona e Mantova.

Forte la romanizzazione delle terre meridionali, come dimostrano centuriazioni e rete viaria, e le svariate colonie dedotte (tra cui Cremona, Pavia, Lodi, Piacenza, Fidenza ad ovest). La colonizzazione romana fu fitta e portò, sicuramente, ad un drastico ridimensionamento dell’elemento gallico, anche se la romanofilia esagera palesemente nel cianciare di massacri ai danni dei nativi. Peraltro, un bel termine per definire la Lombardia etnica meridionale potrebbe essere ‘Boica’ [3].

Gli Etruschi, spesso inquadrati come invasori levantini, erano il risultato della sedimentazione locale di più popoli: autoctoni mediterranei [4], “Italici” indoeuropei (protovillanoviani e villanoviani) e, forse, una tarda classe dominante di egeo-anatolici [5]. Stando ai più moderni studi genetici, pare tuttavia che gli Etruschi fossero geneticamente indistinguibili dai Latini, senza apporti levantini sospetti. Fu la romanizzazione a recare geni recenti originari del Mediterraneo orientale nelle aree tirreniche, andando ad intaccare il genoma indigeno.

I Liguri, invece, erano prevalentemente autoctoni mediterranei, sebbene fortemente indoeuropeizzati (celtizzati, in particolar modo). In antropologia fisica, il cosiddetto tipo ligure è l’atlanto-mediterranide, ossia un fenotipo mediterraneo fortemente dolicocefalo, alto, robusto e più chiaro di quello basico, progressivo per usare un termine caro a certi ambienti antropogenetici amatoriali.

I Longobardi fecero la loro parte, fino a Spilamberto segnatamente, e colonizzarono sensibilmente l’area appenninica tosco-padana (si può rintracciare un curioso picco di biondismo nella Lunigiana settentrionale).

La Lombardia meridionale presenta un aspetto sub-razziale atlanto-mediterranide, alpinide o padanide, ossia, come abbiamo già visto, risultante dall’incrocio tra tipo ligure e quello adriatico (dinaride). Un’area certamente più mediterranea della Lombardia transpadana. Anche gli Etruschi tardi, i coloni romani e i Bizantini hanno contribuito, e lo si vede nella componente genetica anatolico-caucasica che si fa più marcata varcando il Po a sudest (specie se si parla della zona ferrarese). Si tratta comunque di componenti secondarie, non di ceppo predominante. Geneticamente parlando, la Padania si colloca globalmente nell’Europa sudoccidentale [6], assieme a Iberia e Occitania, a differenza dell’Italia etnica che ha un maggiore input sudorientale, in particolar modo nel meridione.

La Lombardia amministrativa di mezzogiorno, per così dire, fa degnamente parte della Lombardia transpadana, anche per via dei determinanti influssi signorili milanesi. Zone come Pavia, Lodi e Cremona hanno sempre orbitato attorno alla capitale lombarda, e questo si fa sentire parimenti a livello linguistico ed etnico.

Del resto, pure una città come Piacenza è decisamente più legata a Milano che a Bologna, e le influenze ambrosiane arrivano sino ad Alessandria e Vercelli, in Piemonte, i cui stemmi sono copia di quello milanese, marca della Lega Lombarda come tutti gli altri scudi crociati, col Sangiorgio, della Cisalpina. Ma eguale importanza ricopre il negativo di tale vessillo, che è la croce ghibellina di San Giovanni Battista, forte in Piemonte, Insubria, Ticino, e presente qua e là in tutta la Padania.

Una mentalità “lombarda” imprenditoriale, industriale, liberale (ma non lo dico certo con vanto, anzi) contraddistingue l’Emilia nordoccidentale nei confronti del resto della regione e la accosta proprio alla Regione Lombardia meridionale, tanto che per certi versi, come abbiamo visto, può esserne una sua propaggine.

Il mondo emiliano stereotipato è fatto di tortellini, salumi, formaggi, motori, vino, cantautori, spirito dissacrante, comunismo e sindacalismo, e capite bene che una città come Piacenza tenda a sottrarsi da questo contesto, virando sul mondo transpadano.

Ma da un punto di vista linguistico, e nonostante i ben noti influssi, il piacentino è certamente più emiliano che cisabduano, al pari di tortonese e oltrepadano, e così a livello geografico essendo cispadano. Per questo manteniamo, come confine amministrativo cantonale, il grande fiume delle pianure.

Possiamo dire che esista una Lombardia al di qua del Po e una al di là, adottando il punto di vista milanese [7], ma sono entrambe parte del medesimo contesto etnico, e della medesima nazione, la Grande Lombardia.

Note

[1] Alcuni dialettologi affermano l’esistenza di un lombardo della bassa Regione Lombardia, da Pavia a Mantova, ma è soltanto una suddivisione di comodo.

[2] A sud del Po, civiltà quali le terramare (che avevano comunque propaggini transpadane), il protovillanoviano e il villanoviano si inscrivono, tradizionalmente, nel contesto italico ed etrusco, dove per ‘italico’ si intende comunque una fase protostorica ed embrionale, non storica.

[3] I Galli Boi devono il loro etnico o ad una derivazione “bovina” oppure ad una guerriera; nel secondo caso, vedi l’ipotesi formulata da Pokorny. In rete si parla del celtico bogos ‘distruggere’, ma non ho trovato validi riferimenti al riguardo.

[4] Imparentati coi Reti e locutori dell’etrusco, fossile linguistico preindoeuropeo.

[5] Vedasi anche la fase finale orientalizzante della civiltà etrusca.

[6] Si consideri, comunque sia, che più si procede verso nord e verso est, nel contesto padano-alpino, e più aumenta la tendenza centro-europea.

[7] I concetti correnti di Transpadana e Cispadana sono, in realtà, il frutto della visione romana.