Opinioni impopolari sul Veneto

Il lombardesimo ha in non cale il venetismo, e cioè una forma di regionalismo e campanilismo che spezza la sacrosanta unità della Grande Lombardia, e dunque della Cisalpina. Il venetismo, come ogni altro particolarismo, è divisivo, sterile, micro-sciovinistico e serve sicuramente più a Roma che a Milano (e, direi, pure a Venezia), avendo così gioco facile nell’opera di disgregazione della comunità nazionale padano-alpina. Esiste senza dubbio un popolo veneto, figlio dei Paleoveneti, ma troppo spesso ci si dimentica che, al pari delle altre aree granlombarde, esso ha elementi identitari preindoeuropei (reto-euganei), celtici e germanici, specialmente longobardi. Diciamocela tutta: il concetto di ‘Veneto’ è qualcosa di moderno, certo modellato sull’idioma di quelle terre, ma alquanto banale e parziale, pensando al profilo identitario della Grande Lombardia orientale.

Esatto, anche il Triveneto ricade nel contesto grande-lombardo, poiché in antico la Lombardia (storica) includeva pure le Venezie. Erano (e sono) lombardi a Verona, Padova, Treviso, come a Milano, Bergamo, Brescia, in quanto sovrapposizione della Langobardia Maior alla Gallia Cisalpina. La Lombardia è la continuazione della Longobardia, ma anche l’erede della Gallia al di qua delle Alpi, e il Veneto non fa eccezione. Il regionalismo venetico ha ridotto ad una farsa l’identitarismo, fossilizzandosi sulla Serenissima; realtà politica, del passato, di tutto rispetto, ma espressione, comunque sia, della talassocrazia mercantile, fortemente proiettata nel Mediterraneo orientale.

La Repubblica di San Marco non aveva collante etnico e non era, dunque, frutto di una nazione, anche perché l’unica nazione presente in Padania è la Lombardia storica, che ingloba l’intero “nord” (e non solo). E parlando eziandio di lingua c’è da dire che il veneto moderno, fondamentalmente modellato sul veneziano, ha interrotto l’antica unità linguistica alpino-padana, separando il gallo-italico dal retoromanzo che, un tempo, erano pressoché la stessa cosa. Il Veneto continentale medesimo aveva parlate diverse, rispetto alla loquela di Venezia, molto più prossime di oggi al lombardo, in senso stretto e in senso largo, per via del sostrato celtico e del superstrato longobardo, presenti pure ad est.

Ma, oltretutto, cos’è il Veneto moderno se non il prodotto dell’unione della Marca di Verona con quella di Treviso, con una pennellata “serenissima” recata dal cuore pulsante veneziano? Lo stesso Leone di San Marco è un simbolo veneziano, non veneto, poiché le restanti città venete continentali si riconoscono nei classici scudi crociati lombardi. E la Lega Lombarda si spingeva nel fulcro continentale di ciò che oggi è la Regione Veneto. Venezia è un’anomalia di retaggio bizantino; una città chiaramente densa di storia e di gloria ma espressione marginale della lombardità. Anzi, per certi versi il capoluogo non può essere considerato lombardo. Le lagune esulano dal contesto schiettamente padano, quasi un mondo a sé stante in cui si respira un’atmosfera particolare.

Il Venetorum angulus è parte integrante della Grande Lombardia, e il suo territorio ricade nel progetto lombardista. Ma, nell’ottica del lombardesimo, non può esserci più spazio per una regione veneta: al suo posto le entità cantonali blandamente federate alle restanti cisalpine, in nome dell’unità nazionale lombarda. Un discorso, questo, che vale anche per Insubria, Orobia, Piemonte, Emilia, Romagna, Liguria, Trentino, Friuli e la Venezia Giulia storica, segno che il nostro non è accanimento venetofobo. Noi rispettiamo i veneti, intesi come genti orientali dall’identità venetica, celtica, longobarda (ma anche reto-ligure, gallo-romana, gotica). Discorso diverso per il venetismo e per ogni altra nostalgia marciana che è utile soltanto a seminare zizzania tra cisalpini, occultando la vera ed unica nazione subalpina: la Lombardia.

12 pensieri riguardo “Opinioni impopolari sul Veneto

  1. Appena finito di leggere questo scritto. Da padovano con entrambi nonni, bisnonni, trisnonni cognominati alla veneta e di fenotipo alpinide, sono profondamente amareggiato dalla durezza con cui si è espresso contro il sentimento venetista. Ma mi duole darle ragione, la Lombardia è interamente celto-romana, e i Venetici sono tali e quali ai loro vicini.

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  2. Da 16enne di Padova con cognominato alla veneta sia il lato materno che quello paterno, sono profondamente esterrefatto dalla durezza con cui ha bollato il venetismo come “sciovinismo”. Con la Serenessima il Veneto ha preso una distanza troppo diversa dal resto della Lombardia ed è normale ci sia questo sottoarchetipo di secessionismo. Ma la realtà è esattamente quella ribadita più volte. L’alta Italia è celtica, celtoromana e celtovenetica. Tuttavia non noto grandi apporti genetici da parte dei popoli germanici, il che fa gridare “LARP” allo sbandieramento della natura germano nordica della Lombardia, che seppur possieda una nutrita minoranza subnordide, non è sufficiente a giustificare questa etichetta

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    1. Credo tu abbia scritto più volte tale commento. La durezza, dal punto di vista lombardista, è perfettamente naturale, perché il venetismo manda a ramengo lo spirito nazionale cisalpino, in nome del vecchiume artificiale marchesco. Circa il dato germanico, nessun “LARP”: i Longobardi – e, assieme ad essi, Goti, Franchi e immigrati teutischi – hanno senza alcun dubbio lasciato una considerevole impronta al territorio continentale granlombardo: toponimi, onomastica (vedi cognomi), lessico e costrutti delle loquele padane, civismo, tratti antropologici, cultura, cucina e genetica parlano chiaro. E, a proposito di genetica, i più recenti studi ci dicono di un 20% di ADN germanico, recato soprattutto dai Longobardi al genoma cisalpino, il che non è robetta, e non è fuffa da “LARPer”.

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      1. Credo effettivamente di a aver riscritto il messaggio due volte perché non mi appariva correttamente.

        Entrando nel merito della questione, potrei ottenere tali studi che dimostrano il 20% di germanico portatoci dai Longobardi?

        Per quanto riguarda l’influenza avuta da Longobardi Franchi etc. potrei essermi malinteso io, poiché volevo riferirmi solo alla componente etnica (culturalmente parlando ai longobardi dobbiamo praticamente 75 cose su 100 della nostra identità) in quanto è noto che i Longobardi nei primi decenni di dominio nella Lombardia avessero tentato di scoraggiare l’unione del loro sangue con quello dei Latini della zona, linea politica che poi si è rammollita nel tempo a partire dalla filocattolicità di Teodolinda.

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      2. Si veda lo studio “The Genetic Legacy of the Roman Imperial Rule in northern Italy”, dell’Università di Tubinga, dove si può leggere: “Compared to present-day northern Italians, we could then model an additional 20% gene flow from northern European ancestries, possibly influenced by migrations into Italy during the Early Middle Ages.”

        Per quanto concerne il “razzismo” longobardo verso i “latini” non vi sono prove concrete che lo attestino. Si può supporre che, inizialmente, i Longobardi rimanessero endogamici (anche se, comunque sia, il popolo longobardo entrato nella valle del Po era ben lontano dall’essere puramente germanico) ma, di pari passo con l’adozione del latino e del cattolicesimo romano, andarono via via assorbendo anche etnicamente elementi nativi. Per approfondimenti si vedano le opere di Stefano Gasparri e Walter Pohl, che hanno aggiornato il dibattito sulla base di quanto in nostro possesso, archeologia inclusa. Se i padani sono ben distinti da mediani e, soprattutto, ausonici, da un punto di vista biologico, lo si deve non solo ai Celti e al minor apporto levantino recente (imperiale) ma anche al superstrato longobardo. E, naturalmente, alla differente qualità del Neolitico cisalpino, rispetto a quello italico.

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  3. Innazitutto grazie per il titolo dello studio. Per quanto riguarda l’iniziale endogamia longobarda mi sono affidato alla “Storia dei Longobardi” del professore tedesco Emerich Schaffran, il cui testo è stato tradotto dalla casa editrice Thule Italia e inizialmente pubblicato dall’Ahnenerbe nel 1938. Il cosiddetto “razzismo” longobardo verso i latini era attuato anche al preciso scopo di tenere la Chiesa e lo stato Pontificio al loro posto, evitando ingerenze nel governo, politica che come detto prima si è ammorbidita sempre di più con l’intervento della cattolicissima Teodolinda.

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      1. Mi scusi se le rispondo con un ritardo di vari giorni, ma non avendo notifiche quando ricevo risposte non me ne ero accorto. Oltre a Paolo Diacono come fonte primaria, potrebbe fornirmi titoli di affidabili accademici moderni? Grazie della comprensione.

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      2. Consiglio, come già detto, tutti i lavori di Stefano Gasparri e di Claudio Azzara, ma anche Walter Pohl (relativamente ai popoli germanici in genere, in questo caso). C’è, comunque, tutto un filone tradizionale recente, sui Longobardi, e autori imprescindibili restano Gina Fasoli, Jörg Jarnut, Gian Piero Bognetti, Paolo Delogu.

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  4. Sono barese, peraltro con sangue anatolico, e non posso esimermi dall’apprezzare il pregevole lavoro di divulgazione e di disvelamento della verità portato avanti con ammirevole perizia dall’autore del blog. Buon fortuna.

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