5 settembre (1395): la nascita del Ducato di Milano (festa dell’Insubria)

Aquila e Biscione

Il 5 di settembre del 1395 veniva ratificata e celebrata la nascita, per opera di Gian Galeazzo Visconti, del Ducato di Milano, costituito ufficialmente l’11 maggio dello stesso anno per mezzo di un diploma firmato dall’imperatore del Sacro Romano Impero Venceslao di Lussemburgo. La nuova bandiera ducale era così costituita dal Biscione visconteo in campo argenteo inquartato con l’Aquila imperiale teutonica su sfondo dorato. Alla sua massima estensione quattrocentesca, lo Stato milanese comprendeva pressoché tutti i territori di lingua lombarda (in senso stretto, ossia insubrico, orientale, alpino e meridionale) e buona parte di quelli etnici (bacino idrografico padano) con una propaggine veneta, raggiungendo l’apice della potenza proprio grazie a Gian Galeazzo, e alla casata dei Visconti in genere. A ben vedere, quindi, il 5 di settembre non è solo festa dell’Insubria propriamente detta (Lombardia occidentale tradizionale) ma di tutta la Lombardia transpadana linguisticamente lombarda, nell’accezione detta sopra, che si inserisce nel panorama etnico e storico della nazione lombarda come una sorta di regione modellata da fenomeni idiomatici e culturali.

Tale giornata costituisce così una festa etnoculturale, sub-nazionale, all’interno del mondo granlombardo, andando a celebrare la grandezza, il fasto e il prestigio del Ducato di Milano, che realizzò politicamente l’unità dei lombardi. Sfortunatamente, nei secoli successivi, tale potentato venne privato di componenti territoriali importanti a vantaggio dei vicini di casa e, soprattutto, degli stranieri, perdendo in autorevolezza e autonomia e finendo vessato da dominatori forestieri esosi ed incapaci, come francesi e spagnoli. Recuperò terreno con gli austriaci nel Settecento, ma sullo scorcio del secolo ebbe termine per cagione napoleonica. Rivisse, in un certo senso, nel Regno Lombardo-Veneto ottocentesco, come parte lombardofona dell’Impero austriaco. L’importanza dell’odierna ricorrenza sta non solo nella celebrazione della gloria viscontea, e anche sforzesca, ma chiaramente nella natura etnoculturale omogenea che caratterizzava il Ducato milanese e che, tra le altre cose, nel 1397, divenne ufficialmente Ducato visconteo di Lombardia. Oggi dunque, a ragione, è la festa dei territori e delle genti di Milano, Brianza, Lecco, Como, Valtellina, “Svizzera” lombarda (Poschiavo, Bregaglia, Bivio, Mesolcina, Ticino, Sempione), Seprio, Verbano-Cusio-Ossola, Novara, Vigevano, Pavia, Lodi ma pure di Bergamo, Crema, Cremona, Brescia, Val Camonica, Mantova e di Valsesia, Vercelli, Biella, Alessandria, Tortona, Voghera, Piacenza, Parma, cioè ambiti di etnia cisalpina legati alla lombardofonia allargata.

3 settembre (569): la nascita del Regno longobardo (festa nazionale della Grande Lombardia)

Corona Ferrea di Monza

Il 3 settembre del 569 era volgare nasceva a Milano il Regno longobardo, fondato da re Alboino. Entrati in Padania via Friuli nella Pasqua del 568, secondo la tradizione il 2 di aprile, i Longobardi conquistarono via via le principali città granlombarde, vincendo la debole resistenza dei presidi bizantini. Si insediarono così, gradualmente, nel Triveneto (con l’eccezione delle lagune, da cui nacque Venezia), in Orobia, Insubria, Piemonte, Toscana, conquistando successivamente Emilia e Liguria; con alcune spedizioni i guerrieri longobardi penetrarono nel centro e nel sud dell’Italia etnica dando vita ai ducati di Spoleto e di Benevento, ed insidiando da vicino gli ultimi capisaldi rimasti in mano ai Bizantini, tra cui Roma (Patrimonio di San Pietro, assieme alle aree circostanti), con la Romagna in Cisalpina. Il Regno longobardo, tuttavia, racchiudeva il territorio della cosiddetta Langobardia Maior, che riguardava la contemporanea Italia settentrionale e la Toscana; la penisola era nelle mani dei duchi longobardi indipendenti, del papa e di Bisanzio. Nel 572, dopo un lungo assedio, cadeva Pavia, elevata a capitale del regno, già gotica, con Milano e Monza come altre capitali.

Il 3 di settembre, dunque, può rappresentare una data da ricordare come festa della Grande Lombardia, della Langobardia Maior, ossia di quelle terre che furono, per gran parte, territorio del Regno longobardo dal 568-69 sino alla capitolazione per mano dei Franchi, nel 774. La Grande Lombardia include tutta la Padania, con l’ovvia eccezione della Toscana, che chiaramente non appartiene al mondo cisalpino pur essendo stata da subito parte del Regno dei Longobardi. Una festa identitaria e nazionale della popolazione granlombarda perché sebbene i Longobardi non incisero in maniera cospicua sul dato biologico e antropologico degli indigeni, rappresentarono una tappa fondamentale nella storia delle Lombardie, tanto da avergli lasciato il nome! Oltretutto, la demonizzazione antica, cominciata con Papato e Franchi e sfociata nella retorica patriottarda catto-risorgimentale del Manzoni, si è dimostrata del tutto infondata e l’eredità longobarda è patrimonio significativo di “nord” e Tuscia, ma anche dell’Italia mediana e di quella meridionale continentale. Questo eterogeneo popolo di lingua e cultura germaniche (in buona parte anche di sangue, ovviamente) ci ha lasciato antroponimi, toponimi, usi e costumi, folclore, leggi e istituzioni durate per secoli e, ancorché meno, geni e tratti somatici. A buon conto possiamo dire che i Longobardi stanno a buona parte degli “italiani” – segnatamente ai lombardi – come i Franchi ai “francesi”.

Settembre – September

Germanico

Il mese di settembre (September) deve il suo nome al fatto di essere stato, nell’antichità romana, il settimo mese dell’anno a partire da marzo, successivo a quintile (luglio) e sestile (agosto). In età imperiale tale mese era dedicato a Germanico Giulio Cesare, politico e militare romano della dinastia giulio-claudia, nipote di Augusto, dotato di incredibile prestigio dovuto alle vittorie contro i Germani, e soprattutto a quella nella battaglia di Idistaviso (16 era volgare), rivincita romana sulle tribù germaniche capeggiate dal cherusco Arminio dopo il disastro di Teutoburgo. Riuscì anche a recuperare due delle tre aquile legionarie perdute nel 9 era volgare, in quel nefasto – per Roma – evento anch’esso accaduto in settembre (tra i giorni 8 e 11). L’imperatore Tiberio richiamò poi Germanico (cognomen ereditato dal padre Druso maggiore in seguito ai suoi successi in Germania) rinunziando così alla conquista delle terre teutoniche e allontanandolo da Roma per timore della sua grande intraprendenza. Morì ad Antiochia, forse avvelenato da un uomo di fiducia di Tiberio.

Settembre è mese legato alla vendemmia, come l’iconografia romana stessa ci testimonia. L’equinozio d’autunno cade in tale periodo (tra i giorni 22 e 23), e pare che il mese fosse posto sotto la tutela del dio del fuoco Vulcano; essendo però già preposto ad agosto, vedrei meglio la protezione di Diana, dea della caccia, e l’attività venatoria è legata al principio dell’autunno. Altri simboli di settembre sono fichi, mele, aratura dei campi, foraggio e gli strumenti per il raccolto dell’uva (tini, canestri, vassoi) e il vino, dai fiaschi alle lucertole, animali legati a Bacco, dio di tale bevanda. Da ricordare che il 13 del mese cade la celebrazione della Triade Capitolina, patrona della grandezza di Roma, e che in epoca antica una buona metà di settembre era dedicata ai Ludi Romani, giochi votivi in onore di Giove Ottimo Massimo. Per questo motivo il mese è consacrato a Giove, dio del cielo e padre degli dei (il 13 cadeva anche l’anniversario dell’inaugurazione del tempio dedicato a Giove Capitolino, sul Campidoglio, centro del culto di stato romano). September inizia con il sole nel segno astrologico della Vergine e si conclude, all’altezza dell’equinozio, con il suo ingresso nel segno della Bilancia, simbolo oltretutto di equilibrio tra le ore diurne e le notturne.

San Bortolo (festa dell’Istria)

Bandiera dell’Istria

Il 12 settembre del 1919 alcuni reparti del Regio Esercito, animati dal fronte politico nazionalista di Gabriele D’Annunzio, si ribellarono occupando Fiume e proclamandone l’annessione al Regno d’Italia. È l’Impresa di Fiume, che portò ad un’occupazione della città durata 16 mesi e alla nascita della Reggenza italiana del Carnaro (8 settembre 1920); scopo della sua proclamazione, appunto, unire Fiume al resto della (fasulla) Italia, in conseguenza della mobilitazione dovuta alla cosiddetta “vittoria mutilata”, causata dalla mancata annessione al Regno tricolore, dopo la Grande Guerra, come promesso dal Patto di Londra, della Dalmazia settentrionale. L’epilogo dell’Impresa fu segnato dall’approvazione del Trattato di Rapallo, con cui Italia e Iugoslavia stabilirono consensualmente i confini dei due regni; alla prima andarono Gorizia, Trieste, Pola e Zara, ma non Fiume che si costituì Stato libero (cessato nel 1924 con l’assegnazione della città a Roma). L’opposizione dei legionari dannunziani al Trattato portò il governo di Giolitti ad intervenire con la forza, sgombrando la città quarnerina nel Natale del 1920. D’Annunzio, rammaricato, lasciò Fiume e si ritirò nella sua villa di Gardone Riviera, il celebre Vittoriale.

Anni fa, in periodo italianista, reputavo il 12 settembre ipotetica festa regionale della Venezia Giulia storica, che potremmo anche chiamare Istria, costituita dai territori storicamente “italiani” della Venezia Giulia attuale, del bacino dell’Isonzo, del Goriziano, del Carso, della Carniola occidentale, di Istria e Fiume e del Quarnaro (isole di Cherso, Veglia, Lussino e Arbe), oggi sotto Slovenia e Croazia. Tornato alle originarie posizioni lombardiste, considero quelle terre – fino al Quarnaro – parte della Grande Lombardia, a partire dalla geografia. Anche la storia della Julia parla cisalpino, grazie a civiltà dei castellieri, Paleoveneti, Celti, Gallo-Romani, genti romanze, Longobardi, Patriarcato friulano e Serenissima ed essa andrebbe redenta restituendola alla grande patria della Lombardia storica. L’impresa di D’Annunzio fu certamente un sonoro schiaffo all’ipocrisia delle democrazie borghesi occidentali, potentati colonialisti e imperialisti che volevano impedire il ricongiungimento dei territori di civiltà giuliana (veneto-friulana, granlombarda orientale), al netto del patriottismo italico di cartapesta, ma credo che oggi la festa ideale dell’Istria possa essere rappresentata dall’ultimo saturdì di agosto, quando viene celebrata la sagra popolare di Gimino dedicata a San Bortolo (San Bartolomeo, che cade il 24 del mese). Una festa, la Bartulja, dalle remote radici che riecheggia usanze rustiche e domestiche in nome di comunità e famiglia.

26 agosto: la festa del patrono di Bergamo

Bergimus

Il 26 di agosto la Chiesa bergamasca celebra il suo patrono, Sant’Alessandro, presunto martire cristiano, tebano, decapitato sotto l’imperatore Massimiano nel 303 era volgare. Venne proclamato protettore di Bergamo e della sua diocesi nel 1689 sostituendo San Vincenzo, martire spagnolo, il cui culto venne probabilmente introdotto durante il periodo delle invasioni di Goti e Longobardi. A San Vincenzo, infatti, era intitolata la prima cattedrale di Bergamo (entro le mura), passata da cattolica ad ariana proprio sotto i Longobardi, che la resero loro duomo. Pur parlando di vicende storiche millenarie, preferisco riconoscere un ipotetico patrono bergamasco nella figura del dio celtico Bergimo (il gallo-romano Bergimus), eponimo del capoluogo orobico, a cui i nostri antichi padri celtici parrebbero essersi ispirati fondando e denominando il centro proto-urbano di Bergamo, in epoca golasecchiana (VI secolo avanti era volgare). Non possiamo sapere se esso fosse la principale deità celtica della città, o degli Oromobi stessi – la tribù celtica di lingua leponzia stanziata tra Como e Bergamo -, ma il fatto che abbia potuto dare il nome a Bergamo è assai indicativo.

Tradizionalmente, Bergimo viene associato ai monti e ai rilievi, ma probabilmente è una forzatura etimologica (vedi radice indoeuropea *bherg- ‘altura, luogo elevato’, da cui il celtico *brig- ‘rocca’) dovuta all’ostinazione di voler vedere un’origine “montana” nel toponimo di Bergamo, essendo il suo centro storico eretto su dei colli che sono ultima propaggine delle Prealpi bergamasche. Del resto pure l’etimologia letteraria (greca!) dell’etnico orobico tira in ballo le montagne, forse perché costante del nostro territorio e perché alletta collegare l’indole bergamasca alla natura montuosa. Secondo l’archeologo Angelo Maria Ardovino, invece, stando ai ritrovamenti archeologici in quel di Brescia, dove Bergimus era sicuramente venerato, esce una figura celtica ambigua, legata al tempo, alla luna, alla magia ricollegabile a Ogma-Ogmios, una specie di Marte gaelico che assume aspetto di tramite tra luce e tenebre, vita e morte, colui cioè che controlla il tempo mediante le fasi lunari e l’uso della parola. E se dunque il teonimo romanizzato Bergimus non fosse che un richiamo a Ogmios preceduto da un rafforzativo di area gallo-romana, e cioè Ber- (vedi latino bis)?

Forze armate

Una Lombardia libera, sovrana e indipendente da Roma e da ogni altro potentato mondialista dovrà riorganizzarsi sulle basi di un etnostato granlombardo repubblicano (a guida presidenziale), che faccia di etnonazionalismo, comunitarismo e lombardesimo la propria cifra politica. Di conseguenza, la rinata Lombardia avrà anche bisogno di forze armate e di polizia proprie, che siano schietta espressione del nerbo indigeno, a impronta maschile, e che sappiano garantire alla patria la difesa, il presidio del territorio, la salvaguardia dei confini e la giusta dose di autorità, onde prevenire invasioni. Le forze di polizia lombarde sostituirebbero così quelle italiane, affiancate da una guardia nazionale indigena, mentre esercito, aeronautica e marina granlombardi scalzerebbero l’occupante italico e quello americano. I militari incarnerebbero l’espressione armata della sovranità padano-alpina, che deve passare anche per la difesa, poiché una nazione libera ha l’esigenza vitale di un proprio esercito come garanzia di autoaffermazione, dissuadendo ingerenze esterne e, laddove necessario, recuperando la doverosa bellicosità nei confronti di chi non rispettasse l’integrità nazionale lombarda.

Le forze armate granlombarde devono avere aspetto indigeno e virile, aprendo magari ad una forma di ausiliariato femminile, e devono essere formate da professionisti. Tuttavia, il ripristino della leva, in una Lombardia libera, avrebbe un grande significato, così come un servizio civile destinato alle ragazze, affinché i giovani lombardi vengano formati in una palestra di orgoglio patriottico che insegni a “stare al mondo”, usare le armi e difendersi, amare e conoscere la nazione, promuovere autostima e coltivare valori sani utili alla mente e al corpo. Del singolo e della comunità. In parallelo, ecco l’idea di una guardia nazionale lombarda aperta a volontari civili, che possa essere un servizio offerto alla patria come presidio del territorio e supporto a forze armate e di polizia. Il ruolo del militare, oltretutto, potrebbe consentire ad ogni popolo che forma la Grande Lombardia di esprimere il meglio di sé, a seconda di vocazioni e predisposizioni, cosicché abbia ancora un senso poter bonificare le milizie di montagna, di terra, di aria e di mare da tutte le scorie del fasullo nazionalismo italiano e dal mefitico unipolarismo Usa-Nato.

1-2 agosto: la festa del sole e degli uomini

Lughnasadh – Lammas

I primi giorni di agosto (1-2 del mese), fulcro dell’estate, rappresentavano un tempo la festa del sole. Nell’antichità (indo)europea l’inizio del mese di agosto segnava la ricorrenza sacra delle celebrazioni agresti del sole, dei falò estivi agostani (come nei Volcanalia romani), del raccolto, della luce benigna dell’astro maggiore e dei benefici che la sua virile forza apporta alla natura e all’uomo. D’altronde, un po’ tutta l’estate è caratterizzata, in senso sacrale, da queste celebrazioni, che principiano in giugno col periodo solstiziale. Festività come la celtica Lughnasadh (in onore del dio solare Lúg) e la germanica Lammas (ringraziamento per i pani) si consumavano in onore delle messi, del raccolto e del pane, alimento base ancor oggi della nostra dieta e che simboleggia anche il frutto primiero dell’agricoltura, nonché il sacrificio della solare divinità ariana che si “offre” sotto forma di pane, di alimento, al suo popolo, all’interno del ciclo naturale delle stagioni e del raccolto. Chissà da dove proviene l’eucarestia…

Il primo o il secondo giorno di agosto, ricollegandosi alla forza maschile della nostra principale stella, cadono anche in onore dell’uomo, della sua energia e potenza che si fanno pure sessuali (come è ovvio che sia), e quindi del fallo e degli attributi, dei testicoli, tanto che segnatamente in ambito granlombardo – presumibilmente per via di qualche antico retaggio celtico, visto che è ricorrenza assai sentita lungo l’arco alpino – il 2 di agosto si celebra proprio “la fèsta di òmegn“. E in senso lato i “du de óst” rappresentano le gonadi maschili, e naturalmente la loro funzione riproduttiva, l’energia vitale del seme maschile. In senso astronomico, la festa del sole e del raccolto dovrebbe cadere il 7 del mese agostano, essendo questa data intermedia tra il solstizio d’estate del 21 giugno (Litha, nel mondo anglosassone, la notte nordica di mezz’estate) e l’equinozio d’autunno del 22-23 settembre (Mabon, secondo il neopaganesimo di ispirazione celtica, festa del raccolto e della vendemmia in previsione del riposo invernale).   

Agosto (sestile) – Augustus (Sextilis)

Ottaviano Augusto

Agosto (Augustus) è mese dedicato a Ottaviano Augusto, pronipote e figlio adottivo di Giulio Cesare (cui è dedicato il precedente mese di luglio), primo imperatore romano. Pater Patriae, diede vita ad un’età che fu una svolta per la storia di Roma, con il definitivo passaggio dal periodo repubblicano al principato. Fu anche pontefice massimo, e dopo la sua morte venne consacrato come Divus Augustus Divi filius, in quanto figlio adottivo di Giulio Cesare, dittatore divinizzato; del resto, il suo nome per esteso era Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (e Caesar divenne parte integrante della titolatura imperiale). Augusto unificò politicamente l’organismo “italico” e lo suddivise in undici regioni, arricchendolo – sul modello romano – di nuovi centri e fondandovi ben 28 colonie. Anche Augustus divenne titolo imperiale, e la sua etimologia va ricondotta al verbo latino augere ‘aumentare, accrescere’, e dunque vale ‘grande’. Dalla dinastia giulio-claudia, cui Giulio Cesare e Augusto appartenevano, uscirono i primi cinque imperatori di Roma.

Nel calendario romano romuleo ciò che, successivamente, divenne agosto, in onore appunto del primo imperatore, era chiamato sestile, essendo il sesto mese a partire da marzo (inizio dell’anno sacro), e seguiva quintile (poi luglio, in onore di Giulio Cesare). Da Augusto prende il nome, parimenti, Ferragosto (feriae Augusti), sin dall’antichità periodo di riposo e di festeggiamenti estivi che cadevano il primo del mese, successivi alle settimane di intensi lavori agricoli nelle campagne; le festività preesistenti al Ferragosto erano già di per sé votate alla celebrazione della fine delle attività rustiche, segnando una fase di riposo, in un periodo, fra l’altro, contraddistinto da grande calura e dal bisogno di refrigerio. La Chiesa spostò la ricorrenza al 15 del mese, per farla coincidere con la festa dell’Assunta. In agosto erano celebrati, tra gli altri, la dea della caccia Diana e il dio del fuoco terrestre e distruttore Vulcano, che era anche connesso al dio Sole, e non certo a caso agosto significava, nell’antichità comunitaria ariana, la celebrazione del sole e della luce benigna, e dunque del raccolto e del pane. In onore di Vulcano venivano accesi grandi falò estivi di sterpi, sempre in contesto agreste. Infine, il mese agostano è caratterizzato dai segni zodiacali del Leone (sino al 22) e della Vergine.

19 luglio (1747): la battaglia dell’Assietta (festa del Piemonte/Taurasia)

La morte di Belle-Isle

Il 19 luglio del 1747 si combatté la battaglia dell’Assietta, in Val Chisone (Piemonte), tra il Regno di Sardegna sabaudo di Carlo Emanuele III e il Regno di Francia di Luigi XV. Fu un episodio della Guerra di successione austriaca, in cui il Piemonte era alleato degli austriaci contro gli eserciti franco-spagnoli, che miravano alla conquista della Padania. La battaglia fu vinta dai piemontesi agli ordini di Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio, e secondo la leggenda fu decisiva la resistenza del Conte di San Sebastiano, che rifiutando di ritirarsi pronunciò la famosa espressione subalpina bogia nen, “non ti muovere”, passata a designare i soldati piemontesi e lo stesso popolo della Lombardia etnica occidentale. Le truppe austro-sabaude, 4.800 soldati, sconfissero così 40.000 francesi guidati dal Conte di Belle-Isle, che perì in battaglia. Tale ricorrenza, giustamente, è ancor oggi celebrata dai piemontesi ed è degnamente la festa popolare dello stesso Piemonte (anche detto Taurasia, utilizzando l’antico toponimo di Torino, dal sapore etnico, in riferimento agli avi celto-liguri Taurini).

Il 1747 fu anche l’anno in cui il barone von Leutrum (generale tedesco al servizio dei Savoia e popolare personaggio celebrato dai subalpini come Barôn Litrôn) respinse vittoriosamente un assalto franco-spagnolo al Ponente ligure, mentre gli austriaci assediavano Genova. Il fatto d’arme più noto a cui il von Leutrum prese parte fu però l’assedio di Cuneo, nel 1744, in cui questi liberò la città da francesi e spagnoli, e che gli valse la riconferma a governatore della città e della sua provincia. Sono vicende belliche, queste, che possono essere accostate all’atto eroico di un altro grande personaggio popolare del Piemonte, che è Pietro Micca, il quale nel 1706 sacrificò la sua vita nella difesa di Torino facendo saltare in aria una galleria, al fine di impedire ai francesi che assediavano la capitale sabauda di penetrare nella cittadella. L’assedio terminò con la vittoria austro-piemontese dei soldati del principe Eugenio di Savoia e del duca Vittorio Amedeo II, e la conseguente sconfitta franco-spagnola. Ancor oggi, il 7 settembre (che nel 1706 significò lo scontro finale tra sabaudi e transalpini), viene celebrato un Te Deum di ringraziamento presso la Basilica di Superga, fatta costruire dai Savoia a ricordo della vittoria.

Visione del mondo

Prima della politica vengono cultura e, soprattutto, visione del mondo, che in ambito lombardista non può che essere di matrice etnonazionalista e völkisch. I pilastri su cui si innalza il lombardesimo sono sangue, suolo e spirito, i principi cardine razzialisti che guidano ogni serio identitario granlombardo, andando ad influenzarne il pensiero e l’azione politica. Diciamo sempre che non avrebbe alcun senso portare i lombardi alle urne se prima non si insegna loro che non sono italiani perché etnia, popolo e nazione a sé stanti, da proiettare in una schietta ottica di indipendenza, di libertà da ogni oppressore anti-identitario. Per quanto l’impegno politico sia fondamentale resta il fatto che occorre per prima cosa una coscienza affrancata da ogni catena ideologica nemica della nostra vera patria, altrimenti la militanza risulterebbe sterile e sulla falsariga del leghismo, vecchio e nuovo. Per tale ragione ecco che il lombardesimo mette in chiaro come la Weltanschauung del nazionalismo etnico, in chiave cisalpina, sia la linfa vitale della vera rivoluzione nazionale e sociale che attende la Grande Lombardia.

In caso contrario, capite bene che ogni tentativo si rivelerebbe fallimentare, come la stessa lezione bossiana insegna, proprio perché verrebbero a mancare le solidissime basi della dottrina etnicista e razzialista, faro che rischiara le tenebre dell’attuale temperie globalista. Avere una visione del mondo e della vita in linea con le ragioni völkisch permette di non compiere passi falsi e di non ripercorrere gli errori di chi, prima dei lombardisti, ha goffamente tentato di porre una questione identitaria nel novero “settentrionale”; e, infatti, solo la rivoluzione del lombardesimo rappresenta la vera libertà per le genti lombarde, chiamate a riscuotersi dal torpore non soltanto per ragioni fiscali ma anche e soprattutto etniche, linguistiche, culturali. L’economia e il benessere procedono dall’etnia, e per l’appunto la plurisecolare ricchezza padano-alpina dipende dagli innati valori insiti nel nostro ADN continentale. Non essendo alcunché di parassitario, lo sviluppo cisalpino si lega inscindibilmente alla nostra natura identitaria, che affonda le sue radici sino all’epopea dei Celti.