Odiare ti costa? Solo se non sei un pagliaccio variopinto

Il 17 febbraio del 2020 (1-2 mesi prima del macello che sconquassò la Lombardia, segnatamente la Bergamasca) l’influencer, idolo dei semicolti e tipico ospite da salotto alla Fabio Fazio-so Roberto Burioni venne a cercare il sottoscritto su Twitter per digitare, in calce ad una mia foto in cui elogiavo – non senza un tocco di ironica provocazione – la qualità razziale donatami dalla natura, una trita corbelleria antifascista e antirazzista, smentita dalla stessa scienza che egli esalta. Il mio cinguettio originale, del giorno prima, era il seguente:

«Quando ammiro il mio cranio…»

Sul “Cinguettatore” ho sovente postato mie fotografie (o tavole craniometriche) con lo scopo di illustrare, fra il serio e il faceto, il fascino della disamina craniologica e antropometrica, aggiungendovi una sagace pennellata provocatoria, come in questo caso. Il tweet, dunque, voleva essere da una parte un’orgogliosa rivendicazione delle proprie origini biologiche (che ai popoli europidi, ai bianchi, è preclusa) e dall’altra una fustigazione di quel patetico cupio dissolvi che affligge il maschio bianco “cis-” eterosessuale (e normodotato), accusato dall’Occidente auto-genocida di essere il responsabile delle peggiori nefandezze.

Apriti cielo. Dopo aver pubblicato tale post si scatenò una gazzarra indecente, vergognosa, delinquenziale raggiungendo oltre 1.500 commenti. La stragrande maggioranza delle interazioni non fu altro che una sterminata sbrodolata acida di insulti, diffamazioni, prese per i fondelli con la bava alla bocca, biliosa isteria e, soprattutto, di sguaiato ricorso al più osceno body shaming. E questa cosa è certamente la più indicativa del delirio collettivo messo in scena, poiché, come potete immaginare, gli odiatori da tastiera intervenuti appartengono alla galassia del disagio liberal, cioè a quel pulviscolo umano che da mane a sera denuncia la torva derisione sessista dell’aspetto fisico.

Ma si sa, se il bersaglio è un “diverso” partono gli inni a Norimberga e piazzale Loreto, se invece è un “nazi” o un “fascio”, o più semplicemente uno che esprime dissenso nei confronti del regime woke, non c’è scrupolo petaloso che tenga, e il linciaggio mediatico diventa buono e giusto, sacrosanto. Questo deve essere stato lo stesso pensiero di alcune pagine Facebook antifasciste, gestite da illuminati semicolti ossessionati dall’analfabetismo funzionale (una delle tante idiozie alla Eco partorite dai reggicoda del sistema mondialista, per giustificare la svendita delle loro terga a chi, da oltre 75 anni, tiene per le gonadi l’Italietta dei Badoglio), che ripresero il commento di Burioni al mio tweet affermando che mi avrebbe “blastato”.

Ecco, anche l’imbecillità di tale termine ibrido (segnale della sudditanza e dell’imbastardimento dell’idioma di Dante a vantaggio della lingua della globalizzazione) la dice lunga sulla prostituzione ideologica dei castigamatti di regime, pupazzi piegati a 90° di fronte alle presunte autorità intellettuali e morali sulla cresta dell’onda, sommi sacerdoti del novello dogmatismo oscurantista: quello del pensiero debole. I gestori delle suddette pagine non si peritarono di dare in pasto alle torme di scalmanati omologati le mie parole e la mia immagine, a riprova di quanto la superiorità morale antifascista – liberale o progressista – sia una venefica menzogna, su cui si fondano intere istituzioni. Odiare ti costa? Sicuro, a meno che tu sia un pagliaccio variopinto.

Tra i livorosi commentatori di Twitter spiccarono alcuni tizi con tanto di profilo verificato (non si sa per quale ragione, visto che sono sconosciuti ai più, ma probabilmente la spunta blu – ante Musk – è una sorta di segno di riconoscimento tra caproni conformisti), su tutti Roberto Burioni, appunto, e Luca Bizzarri. Col secondo ebbi un protratto botta e risposta, ma i giullari del sistema non meritano qui ulteriore considerazione. Veniamo, piuttosto, alla scontata replica del fenomeno virologico di Pesaro, riportata qui sotto (e badate bene che nessuno l’aveva cercato, ne ha di tempo da sprecare, il narcisistico dottore):

Ipse dixit

Premessa: il Sizzi non è un antropologo, e uno scienziato, ma quando parla di razze sa ciò che dice, a differenza di quanto vorrebbe far credere il virologo vanesio prestato alla tuttologia, e venerato siccome feticcio dai contemporanei discepoli di positivismo e scientismo. Al personaggio altamente politicizzato, replicai che le razze umane (o meglio ancora sottospecie umane) esistono in quanto esistono i meticci; ergo, sussistono degli ecotipi originali di partenza. Del resto, fino a prova contraria, anche l’uomo è un animale e ad essere unica (dunque globalmente condivisa) è la SPECIE, non la razza. Roberto, passi le tue giornate ad esaltare la scienza e poi, tra le righe, difendi il concetto antiscientifico di “razza umana”? Andiamo!

Burioni, ovviamente, non replicò; il suo unico intento era quello di farsi un bagno di facili consensi, vellicando il proprio ego con la piaggeria delle larve di Twitter. Sarebbe stato interessante sentire la sua risposta, ricordandogli l’esistenza di farmaci specifici e diversificati a seconda della razza, e di malattie e disturbi tipici di alcuni gruppi razziali. Il nostro ha mai provato a curare l’ipertensione di un congoide con un ace-inibitore? O a somministrare statine ad alte dosi ad un mongoloide? Per non parlare delle intolleranze alimentari… Il ritornello antifa del “siamo-tutti-uguali” è una cialtroneria senza alcun fondamento medico-scientifico.

Curiosamente, il preclaro professore da social, nello stesso periodo in cui gettava alle ortiche il suo prezioso tempo per commentarmi (febbraio 2020, ricordiamo), minimizzava la portata del coronavirus irridendo chi indossava le mascherine e invocava severe restrizioni verso la Cina stigmatizzando la globalizzazione. Non scherziamo, ragazzi: il vero virus è il razzismo. In tempi più recenti, invece, dava dei sorci a coloro che non si vaccinavano e rifiutavano la certificazione verde, auspicandone la ghettizzazione permanente. Se gli araldi della cosiddetta comunità scientifica sono costoro è evidente che qualcosa, dopo il 1945, sia andato completamente storto. Mala tempora currunt.

Io, dal canto mio, mi schiero con tutti quei medici forensi, anatomopatologi, archeologi, paleontologi, osteologi, antropologi e genetisti che parlano ancora tranquillamente di razze umane, non certo coi venditori di fumo che spacciano l’antropologia culturale – fumisteria neomarxista erede di Boas, rimpinzata dalle smentite castronerie di Lewontin – per scienza esatta. E questo perché l’etnonazionalismo, pur diffidando delle derive scientiste e materialiste, deve avvalersi della razionalità e della scienza per corroborare i propri principi: l’identità è anzitutto biologica, dunque razziale.

Infine una nota di colore (no, non in senso sub-sahariano). La sera di quel 17 febbraio 2020, a coronamento della gigantesca canea suscitata dal mio cinguettio, poteva forse mancare la chiamata di Cruciani, supportato dal suo saltimbanco del cuore, lo scappellato Parenzo? La cosa più divertente è che, costoro, partono in quarta introducendo la telefonata con contumelie e derisioni, ma una volta che scatta il confronto in diretta inscenano il solito teatrino fatto di voci sopra la propria, urla, pollaio e uscite da bettola per far deragliare il discorso buttandolo in caciara. In questa occasione, a conferma della propria pochezza, arrivarono a chiudere in fretta e furia la chiamata sbattendomi il telefono in faccia. Una volta messi con le spalle al muro, consci dell’ennesima figura fecale confezionata col sottoscritto, un epilogo del genere è una comoda via di fuga*.

* Di tenore analogo l’ultima incursione zanzaresca, datata 27 gennaio 2023 (ma trasmessa ad inizio febbraio), reperibile sul “Tubo”. Oltre al consueto repertorio di cialtroneria assortita – di Parenzo non vale più nemmeno la pena parlare -, venendo a trattare di attualità e craniometria, va notato come il Cruciani, ogni volta, ami ricordare il mio infortunio giudiziario, sottolineando il reato (?) manciniano, di istigazione alla discriminazione razziale; peccato che la condanna verta, anzitutto, sul vilipendio del PdR, e poi sul razzismo. Sempre di ideologia e politica si tratta ma, moralmente, l’odio razziale, e dintorni, potrebbe apparire più riprovevole della lesa maestà. Ad ogni modo, meno male che il caro Giuseppe sarebbe un baluardo della lotta contro il ciarpame politicamente corretto e da cultura della cancellazione…

Paolo Sizzi a “Piazzapulita”

Sizzi a “Piazzapulita”

La prima settimana del dicembre 2019 fu piuttosto impegnativa, per il sottoscritto, essendo passato per ben tre interviste (si fa per dire) effettuate dai media di regime: due de La Zanzara di Cruciani e Parenzo e una ad opera del programma di La7 Piazzapulita. Qui parlerò, nello specifico, di quest’ultima.

Nel tardo pomeriggio di mercoledì 27 novembre 2019, mentre tornavo dal lavoro in macchina, mi trovai fra capo e collo un giornalista di Piazzapulita con un operatore, che praticamente irruppero in casa mia seguendomi alle spalle, essendo il cancello aperto. Fui preso alla sprovvista, così come mia madre che ritrovandosi due estranei in cortile (abito in un rustico villino del contado bergamasco) uscì allarmata per vedere che accadesse.

Capendo la situazione la signora, anziana e vedova, si spaurì, venendo colta da sconforto, e di fronte alla telecamera espresse tutta la sua preoccupazione e sofferenza per via della mia vicenda giudiziaria (condanna definitiva per “offesa all’onore e al prestigio del PdR”, Napolitano, e “istigazione alla discriminazione razziale”).

Questo, cari amici, suscita in persone normali ed oneste la persecuzione liberticida di chi si sfila dalle maglie dello status quo mondialista, finendo denunciato, condannato, esposto alla gogna mediatica. Leggi come la Mancino e il vilipendio delle istituzioni italiane sanzionano mere idee ed opinioni, e chi si macchia di tali “reati” non fa alcuna vittima, non danneggia né persone né cose: le uniche vittime sono gli stessi identitari, e i loro famigliari, come in questo caso vergognosamente tirati in ballo nella caccia alle streghe.

Cercai di tranquillizzare mia madre, facendole capire (per l’ennesima volta) che io non dico nulla di male, nonostante certe esagerazioni del passato – anche se lei non sente ragione e teme per me, soprattutto in chiave lavorativa (perché un lavoro ce l’ho) – e che, francamente, dell’opinione altrui me ne sbatto allegramente i cosiddetti. L’odio o il disprezzo che le reti sociali possono vomitare su di me non mi tangono, anche se fa capire chi, per davvero, è vittima di persecuzioni, di insulti, calunnie, minacce, bullismo internettiano e squadrismo antifascista da tastiera.

Dopo la scena patetica scatenata dall’intervento dei due figuri di La7 – che pensavo non venisse filmata e poi mandata in onda, avendo detto di non coinvolgere il genitore – decisi comunque di rilasciare un’intervista di un quarto d’ora circa, fuori dalla mia abitazione, in cui esposi il mio pensiero völkisch, la bontà della battaglia lombardista, la necessità di un “italianesimo” etnofederale (ero ancora nel periodo filo-italico) e la mia passione per l’antropologia fisica e la genetica delle popolazioni.

Pur comprendendo come il rischio del consueto taglia e cuci fosse concreto, decisi di affrontare la telecamera, nonostante tutto e tutti, e illustrai il mio punto di vista, anche in merito alle domande che mi venivano fatte. Si parlò di craniometria e craniologia, antropologia fisica, genetica delle popolazioni, di ebrei (Segre) e di Balotelli, del concetto di cittadinanza e nazionalità, di endogamia e altri aspetti emersi dalla mia visione del mondo, ripescando vecchi cinguettii di Twitter.

Ultimata l’intervista, i due se ne andarono e io rincasai. Una settimana dopo, giovedì 5 dicembre, vidi il servizio su La7, anticipato dagli spot della trasmissione, Piazzapulita per l’appunto. Il sottoscritto venne presentato dissotterrando un vecchio filmato che circolava su YouTube circa la prima fase lombardista – praticamente un video di oltre dieci anni fa – e mostrando alcuni tweet del vecchio profilo Twitter, andati perduti (essendo stato cacciato due volte, da quel social), ma salvati dalla “preziosa” opera dell’Osservatorio antisemitismo. La cornice? Il tema dell’odio, ovviamente, con tanto di scritta a caratteri cubitali posta a chiusura delle réclame del programma, una trovata di cattivo gusto. Manco fossi Breivik.

Sì, perché fu proprio tale osservatorio democratico (?), ossessionato dai neonazisti virtuali o presunti tali e malato di censura, a dare l’imbeccata al giornalista Alessio Lasta, questo il suo nome, indirizzandolo verso di me, al fine di confezionare un servizio in cui si mettesse alla berlina il “nazi” disadattato di turno per fare sensazionalismo. Venni presentato come un nazista, un odiatore, un leone da tastiera che vomita bile su internet (come se mi fossi mai nascosto dietro avatar e nickname, peraltro!), un disagiato sociale, accostandomi a personaggi controversi e veicolando il messaggio che, da un momento all’altro, potrei passare all’azione, come se l’identitarismo fosse odio e la passione antro-genetica il prodromo della violenza.

Dell’intervista originale, si capisce, vennero mandati in onda pochi spezzoni raffazzonati, evidenziando faziosamente i passaggi più pruriginosi, se vogliamo, ancorché espressi in tutta calma, lucidità, razionalità, senza deliri e senza atteggiamenti nazisteggianti. Trasmisero i frangenti in cui parlai di endogamia all’europide, affermando l’importanza della salvaguardia anche biologica della propria identità (caucasoide bianca, italica, lombarda); la necessità di difendere il concetto di razza, come subspecies, che non è nulla di nazista e hitleriano – checché ne dica lo stucchevole intervistatore – ma è realtà antropologica, genetica, biologica appunto (mentre etnia è un concetto più culturale che altro); la differenza tra cittadinanza (carta) e nazionalità (sangue), sottolineando come la Segre, ebrea italiana, sia di cittadinanza italiana ma di nazionalità giudaica, così come un Balotelli nato e cresciuto in “Italia” sia negroide ghanese, e non italico per sangue.

Non mi sembra proprio di aver affermato delle castronerie perché la stessa genetica delle popolazioni ci dice come esistano ebrei distinti in vari rami (aschenaziti, sefarditi, mizrahì i principali, ma anche gli italkim, cioè gli ebrei italiani, cui la Segre appartiene) e distinti, soprattutto, dai popoli europidi, essendo una popolazione sì ibrida – nel caso europeo – ma comunque situata, come cluster genetico, tra Italia meridionale e Levante. E questo vale per tutte le popolazioni del globo, i cui confini biologici possono essere delimitati sia dalla genetica che dall’antropologia fisica, che passa pure per l’analisi del cranio.

Infine, una battuta sulla Liliana che, senza addentrarmi nel suo passato che rispetto tranquillamente, oggi è un’anziana signora longeva e distinta (non se la passa certo male, in qualità di senatore a vita), dignitosa, ma dai propositi a mio avviso troppo bellicosi verso la libertà d’espressione, che non è libertà di insultare ma libertà di dire, ad esempio, che gli ebrei d’Europa sono un’etnia a sé stante, diversa dai cosiddetti “italiani” (a loro volta distinti in differenti etnie), ponte tra Levante ed Europa. Questo è forse odio? Affermare che esistono razze, sottorazze e profili fenotipici peculiari, nonché etnie innervate proprio sul concetto di sangue e, naturalmente, di cultura è istigazione a fare del male, ad impugnare un’arma? Ma che stiamo dicendo? Questo è un delirio bello e buono.

Terminato il filmato, in cui il Lasta si dimostrò chiaramente prevenuto, ignorante, partigiano e censore (ma visto l’esordio non poteva essere altrimenti), ecco il commento in studio di eminenti esperti di antropologia e genetica: Laura Boldrini, Arianna Ciccone, Valentina Petrini, Gennaro Sangiuliano (oggi ministro della Cultura) e un giovane sovranista meloniano, Francesco Giubilei. Conoscevo solo la Boldrini, che ovviamente può vantarsi di essere una gigantesca testa pensante in materia di sangue, suolo, spirito.

Orchestrati da Corrado Formigli, il conduttore, indeciso sul come classificarmi (scemo o futuribile criminale nazista), i presenti si produssero in tutta una serie di beceri luoghi comuni, conditi da insulti, continuando a mescolare il sottoscritto con neonazismo, neofascismo, suprematismo bianco, Hitler, Mengele e gente varia che fa della violenza o aizza a farla. Io ho avuto guai giudiziari, è vero, ma per mere questioni d’opinione; sicuramente, ai tempi, posso dire di avere un “tantino” sbarellato, ma non ho mai fatto il nazifascista della mutua o il suprematista alla lombarda, non ho mai propagandato odio, e tantomeno lo faccio ora!

Piuttosto infervorata la signora Ciccone, assidua frequentatrice del “Cinguettatore”, che voleva ridurmi alla stregua di personaggio folcloristico, cui non dare alcuna visibilità, preso per i fondelli da tutti: tutti chi, scusate? I guitti antifascisti di Twitter, probabilmente, quelli che si vantano di essere democratici e liberali ma poi fanno le crociate per bannare e sospendere in perpetuo, dimostrando come dietro le “prese per il culo” vi sia comunque una grande paura per tematiche spinose e poco simpatiche come etnonazionalismo, antropogenetica e razzialismo, che sono inesorabili pugni nello stomaco al pensiero unico fucsia e al mondialismo, con le loro perversioni.

A questa signora dico che censura fa rima con paura e, pur concordando sul fatto che io sia innocuo perché persona civile, ribadisco che le tematiche da me trattate stanno profondamente sulle gonadi ai semicolti, ma non perché odio, istigazione alla violenza, neonazismo o altre assurde accuse di questo genere, ma perché vanno a sbugiardare clamorosamente tutte le balle antirazziste e antifasciste, tutte le narrazioni liberali e progressiste, tutte le costruzioni e sofisticazioni del politicamente corretto e della retorica resistenziale, che in questo finto Paese è una vera e propria droga. E non solo una droga, direi, ma pure una forma di dittatura che vuole eliminare tutto quello che esula dal contesto “democratico” (ossia schiavo dell’alta finanza), e infatti gli ospiti in studio condannarono pure il comunismo staliniano, altro nemico mortale del capitalismo e dell’imperialismo americano, quanto nazionalsocialismo e fascismo.

Il “simpatico” Formigli insistette dandomi del povero scemo, e dimostrando una grandissima profondità intellettuale e capacità di analisi, mentre quella Ciccone continuò a minimizzare riducendomi al rango di macchietta senza alcun peso ed importanza; in entrambi i casi stiamo parlando di ignoranti abissali che nulla sanno di ciò di cui mi occupo, e nulla sanno di antropologia, di genetica, di etnonazionalismo, però parlano, parlano e dicono un mucchio di corbellerie, assieme al Giubilei che prende le distanze da me difendendo il suo triste partito sovran-sionista, oggi al governo tricolore, amante della Repubblica Italiana, della costituzione e di tutta la chincaglieria partigiana, dicendo che il suo capo, la Meloni, nulla ha a che fare con l’etnonazionalismo. E meno male, diamine!

Scemo, scemo del villaggio, pazzo, personaggio folcloristico, nazista, soggetto dalle opinioni criminali (se non criminale tout court)… Le ficcanti argomentazioni degli astanti, ideologicamente trasversali (a testimonianza di come tutto l’arco parlamentare sia complice del sistema), alla corte di Corrado Formigli si sprecano, senza che nessuno entri nel merito della questione: odio? nazismo? razzismo? no no, nulla di tutto questo, parlo del preservazionismo etno-razziale fondato su basi scientifiche e biologiche, che non è sacrosanto perché lo dice il Sizzi ma perché lo suggeriscono la realtà che viviamo ogni giorno, una realtà fatta di globalizzazione che sradica, calpesta, infanga e distrugge l’identità in tutti i suoi aspetti, un’opera infame di demolizione supportata sia dai cialtroni di sinistra che dai cialtroni di destra, pecoroni statali della baracca italiana, entità coloniale di proprietà Usa e Nato.

La trasmissione intendeva stigmatizzare l’esistenza dei “nazisti del web” – per cavalcare ridicole polemiche qualche mese più tardi spazzate via dal coronavirus – ma, in tutta franchezza, è stata solamente la messa in onda di una sceneggiata indecente e spoetizzante in cui una persona, io nella fattispecie, viene linciata senza contraddittorio sparando nello spazio le più pacchiane banalizzazioni e strumentalizzazioni, senza, ripeto, entrare nel merito della vera questione che è la salvaguardia dell’identità e della tradizione di un popolo, di una comunità, in tempi di globalizzazione galoppante che non lascia spazio all’orgoglio etno-razziale. Quella stessa globalizzazione che poi cagionò una pandemia. Ma si sa, “il vero virus è il razzismo” (citazione di qualsivoglia fesso liberal).

Del resto, perché, periodicamente, si parla tanto, a vanvera, di fantomatico pericolo fascista o nazista, in Europa? Perché bisogna far guardare da un’altra parte, e perché si creano finti problemi con lo scopo di incanalare l’odio della gente verso il capro espiatorio “nazi”, lasciando belli tranquilli i veri nemici dei popoli europei che sono gli squali, i banchieri, i finanziocrati, i mondialisti, gli imperialisti euro-atlantici, la mafia nelle sue varie sfumature.

Qualcuno, a caldo, mi disse che avrei fatto meglio a non farmi intervistare; il problema è che il servizio, questi, lo avrebbero fatto comunque, e se li avessi cacciati a malo modo avrei dato l’idea del tizio che si spaventa ed evita di parlare, esprimendo il suo dissenso al regime. Io approfitto delle situazioni propizie per divulgare il messaggio etnonazionalista, che si costruisce anche sulle basi biologiche e, mi pare evidente, la figuraccia la fanno questi tristi e omologati giornalisti proni alla volontà dei tecnocrati antifascisti, giornalisti che non sanno nulla, non sanno di cosa uno parli, tentano di mettergli in bocca cose mai nemmeno pensate e fanno della retorica cosmopolita da quattro soldi.

Chiaro, col senno di poi (memore della prima intervista televisiva, quella de Le invasioni barbariche della Bignardi, con Michele Serra a sputare sentenze senza contraddittorio), vista l’irruzione, il coinvolgimento di terzi, le riprese in casa mia, il taglia&cuci e lo spettacolo raccapricciante in diretta, avrei potuto tranquillamente indurre gli intrusi ad andarsene evocando i carabinieri; tuttavia, ritengo che a sfigurare sia stato il circo di Piazzapulita, non certo chi scrive, perché il modello di giornalismo proposto da La7 in questa occasione si è dimostrato davvero pessimo, un imbarazzante tributo a chi comanda e tiene gli scribacchini per le gonadi.

Il discorso relativo al baraccone di Formigli può essere fatto anche per le due chiamate di Cruciani (che mi aveva già contattato nel giugno del 2015), dove lui e Parenzo si dimostrarono i veri fanatici intolleranti, ignoranti come caproni, che più di insultare, coprire la voce dell’interlocutore con le proprie, e buttare in gazzarra discussioni molto profonde e degne di attenzione, non possono fare. Fra l’altro, anche qui, solito lavoretto di taglio e cucito, senza dare lo spazio che merita alla basilare questione del sangue. Naturalmente, il loro programma radiofonico è quello che è, fatto di satira, provocazioni e inflazioni, ma non sarebbe male cercare di confrontarsi seriamente evitando, ad ogni piè sospinto, di aggredire verbalmente a vuoto, senza che, peraltro, vi sia da parte di chi parla (il sottoscritto) arroganza, presunzione, protervia. Io cerco solo di propagare il messaggio etnonazionalista, che ovviamente si avvale anche della scienza per corroborare i propri principi.

L’antropologia fisica e la genetica delle popolazioni meritano rispetto, perché sono branche scientifiche, così come meritano rispetto l’etnonazionalismo, l’identitarismo sangue e suolo e il comunitarismo. Chi si approccia a questi contesti colmo di pregiudizi, dettati da superficialità e ignoranza crassa, non andrà da nessuna parte, e non capirà mai come lo studio dell’uomo, anche in chiave biologica, sia fondamentale soprattutto oggi, con lo scopo di annichilire tutte le idiozie egualitariste della vulgata progressista, antifascista, lib-dem.

Da ultimo, una precisazione: circolava una bufala secondo cui io avrei detto, in merito all’argomento Liliana Segre, che: «I campi di sterminio sono una fandonia come l’11 settembre»; questa affermazione mi è stata attribuita da un giornalista di Repubblica, Piero Colaprico, che si è basato su questo commento Facebook (il primo), postato da un tal Daniele (cognome cancellato), collegandolo, non so in che modo, al sottoscritto. Come mai non mi stupisce che un simile sfondone (a quanto pare in malafede) provenga da uno che scrive su quel giornale? Si prendono un po’ troppe libertà questi soggetti, dall’alto della loro inesistente superiorità morale…

Tutto questo voleva forse essere una trappola architettata contro il sottoscritto per presentarlo come mostro nazista da sbattere in prima pagina? Se così fosse il trabocchetto non ha funzionato perché, nonostante i soliti mezzucci giornalistici, credo proprio di aver detto la mia in una maniera sobria, equilibrata e ben lontana sia dallo stereotipo del neonazi che da quello della macchietta da tastiera. Sta alla gente obiettiva farsi un’idea circa la condotta sizziana, nella personale convinzione che nelle mie parole non vi sia alcuna forma di odio, discriminazione e incitamento alla violenza, ma solamente e semplicemente amore per la natura che sta alla base di una sana visione del pianeta terra e di chi lo abita.

Su YouTube potete reperire le tre interviste in oggetto. Lascio giudicare a voi il taglio giornalistico (se di giornalismo si può parlare, beninteso) assunto da questi personaggi, e se qui il problema vero sia io o, piuttosto, la dittatura dell’imperante pensiero unico/pensiero debole che si serve di cervelli succubi e bacati incapaci di animare individui per davvero liberi. Il dispotismo reale sta nell’antifascismo e nella sua macchina del fango, produttrice di leggi liberticide, giustificate da una presunta superiorità sinistroide e/o liberale, e di prodotti “culturali” affetti da faziosità cronica, dove i buoni e i belli sono i complici della tirannia globalista mentre i cattivi e i brutti tutti quelli che si sottraggono alla vulgata di questa fosca temperie occidentale (contemporanea).

A proposito di craniometria (e di “Zanzara”)

Pól

Nel giugno del 2015 ricevetti la prima telefonata (ne seguiranno altre 4 fra 2019 e 2023, tutte quante reperibili su YouTube) da quei due guitti de La Zanzara (nota trasmissione radiofonica demenziale in onda su Radio24), Giuseppe Cruciani e David Parenzo. Avrei potuto benissimo sbattergli il telefono in faccia – pur non conoscendo bene il programma, all’epoca – ma la tentazione propagandistica è sempre troppo forte. E credo sia giusto affrontare il dibattito, anche a costo di venir irriso da minus habentes come quelli (il che, comunque, è un’attestazione di stima involontaria, visti i soggetti).

La loro chiamata era dovuta alla curiosità suscitata dalla craniometria, un interesse che coltivo da anni in qualità di amatore, nel più ampio contesto dell’antropogenetica, ma che nella testa di personaggi del genere (o dell’itaglione medio) sembra qualcosa di lombrosiano o nazista. Oltretutto, chissà come si procurò il mio numero, il duo romano-ebraico…

Cari amici, che cos’è la craniometria, scusate? Non è altro che una diramazione della più vasta branca antropometrica, una disciplina scientifica che tratta delle misurazioni del corpo umano (del cranio e dello scheletro, soprattutto) per scopi archeologici e antropologici, perno dell’antropologia fisica (o razziologia, ma tale termine so che provoca forte prurito nei benpensanti).

La craniometria, misurazione del cranio, si ricollega alla craniologia, vale a dire allo studio del cranio umano ai fini antropologici ed etno-razziologici. Tutto ciò, tengo a precisare, con Lombroso e la sua frenologia (o la fisiognomica) non ha nulla a che vedere. La craniometria è scienza, la frenologia è astrologia. Chiaro il concetto?

Ormai dovrebbe esser chiara – a chi frequenta i lidi sizziani – la preminenza delle misure cranio-facciali e corporee per gli scopi della tassonomia razziale, poiché la pigmentazione è un dato secondario e non è il principale discrimine tra razze umane, soprattutto tra sottorazze e varietà fenotipiche di una stessa razza.

Detto questo, non è che il sottoscritto sia un antropologo o uno scienziato, ma ha una passione per l’antropologia fisica (così come per la genetica delle popolazioni, pur non essendo un genetista), e dunque per l’approfondimento delle conoscenze riguardo la biodiversità razziale umana.

Ovviamente è uno studio da integrare, per forza di cose, con la suddetta genetica delle popolazioni ma che, evidentemente, agli occhi di gente come Cruciani o Parenzo suona poco più che una barzelletta. Beata ignoranza: costoro volevano far fare la figura dello scemo al sottoscritto ma, irridendo anche solo il concetto di ‘aplogruppo’, si sono tirati la classica zappa sui piedi. Chiunque può cercare informazioni su quanto sto dicendo ora (e che ho sempre detto più e più volte sui vari blog) e può così verificare se sia io ad essere “da ambulanza” (cit. Cruciani) o loro da asilo infantile. Io sono solo un appassionato, ma genetisti del calibro di Cavalli-Sforza, Piazza, Barbujani, Boattini, Francalacci, Cruciani (omonimo del conduttore), Boncinelli, Sazzini, Caramelli, Raveane, Sarno ecc., solo per rimanere sugli italofoni, non credo meritino di vedere sputacchiato il proprio campo scientifico d’indagine da due saltimbanchi.

La realtà “italiana”, fra le altre cose, è una delle più studiate al mondo, in fatto di genetica, per via della sua ben nota diversità etnica che le dà un aspetto alquanto eterogeneo, così peculiare da non avere eguali in Europa. E non solo in senso nord-sud ma anche ovest-est, per non parlare del caso sardo e delle varie minoranze.

Per carità, la trasmissione radiofonica incriminata, La Zanzara, è un tripudio di cattivo gusto e cialtroneria dove uno come Parenzo fa la parte del… leone, ma ogni occasione è buona per parlare di antropologia e amore per le proprie radici, con relativo studio approfondito in campo sia fisico che genetico.

Quanto dai due mandato in onda è stato il consueto taglia&cuci (l’intervista è durata 5-6 minuti, in cui ho parlato di svariate questioni) ma, francamente, ribadisco che la figura degli imbecilli l’hanno fatta Cruciani e Parenzo. Io mi sono limitato, senza sbottare per cadere nei loro tranelli e far la figura dell’idiota fanatico, a parlare brevemente di craniometria/craniologia e genetica, argomenti che come sapete ho affrontato con dovizia sui miei spazi virtuali precedenti, e che continuo a fare su Lombarditas.

La misurazione del cranio è assai ricorrente presso archeologi, paleontologi, anatomopatologi, medici forensi, ricercatori antropologici e fino a che non è stato un reato (per gli antirazzisti) parlare liberamente di razze e loro studio antropologico e fisico, a livello accademico, fior fior di autori se ne sono avvalsi per spiegare al meglio la differenziazione tra gruppi razziali umani (per citarne qualcuno ricordiamo Broca, Boas, Ripley, Lapouge, Deniker, Sergi, Livi, Biasutti, von Eickstedt, Hooton, Coon, Günther, Lundman, Baker, Schwidetzky, Knussmann). Tra l’altro, va detto che l’antropologia fisica è una disciplina scientifica e si studia nelle università (a Bologna e Ferrara, ad esempio), e a questo proposito va fatto il nome dell’accademico fiorentino Brunetto Chiarelli, tuttora in vita.

Pure Cavalli-Sforza si avvaleva di studi antropometrici ed antroposcopici parlando di genetica delle popolazioni (citando lavori contemporanei), proprio perché non siamo tutti uguali, e sensibili differenze fisiche intercorrono tra le principali razze umane e relativi sottogruppi. Questi studi sul corpo umano in senso etno-razziale corroborano poi, ovviamente, la genetica delle popolazioni, che mostra anch’essa la biodiversità tra etnie e razze.

Peraltro, se teniamo conto di antropologia fisica e genetica, più che di sottorazza, oggi come oggi, conviene parlare di fenotipi, e la craniometria di cui tratto io (le misurazioni, le tassonomie, l’inquadramento etnico e geografico) non è altro che questo. Le sottorazze vere e proprie, infatti, riguardano le suddivisioni geografiche della razza caucasoide e delle altre, caratterizzate dai vari tipi fisici regionali.

Sulla rete c’era un interessante calcolatore per caucasoidi (Racial analysis calculator) messo a punto da Dienekes Pontikos, personaggio greco noto anche per lo studio della genetica delle popolazioni (vedi il Dodecad Project); una versione pensata per i maschi e una per le femmine. In mancanza di craniometri, e di altri strumenti professionali, era un valido supporto per avere una classificazione indicativa circa il proprio fenotipo, basandosi sui punti craniometrici.

Non essendo più online appare superfluo parlarne, ma la misurazione andava effettuata correttamente, utilizzando strumenti come calibro, morsa, riga rigida, bindella, compasso, squadra metallica e il responso prodotto andava messo in relazione con il supplemento fotografico dell’opera fondamentale di Coon The Races of Europe, che potete ancor oggi trovare qui. Il sito in oggetto, sebbene di taglio nordicista, è una fonte assai preziosa di informazioni, e potete reperirvi tantissimo materiale interessante, tra cui un utilissimo glossario, tavole, mappe e la bibliografia del caso.

Un altro sito alquanto degno di nota è Human Phenotypes, frutto dell’eccellente lavoro di un utente tedesco un tempo presente sull’antro-forum The Apricity (che, tra le altre cose, mi classificò come “southern Celt“, ossia Atlanto-Mediterranid + North Atlantid, da intendersi come il Keltic Nordid di Coon).

Una precisazione: il sottoscritto è noto per saper classificare, fenotipicamente, un individuo partendo anche solo da poche fotografie (basate sulle classiche tavole craniologiche: visione frontale, di tre quarti, laterale); è evidente che la mia classificazione non potrà che essere indicativa, per quanto basata sulla cultura fenotipica, perché la craniometria vera e propria necessita, ovviamente, di valori numerici.

Con il calcolatore razziale di cui sopra ho misurato me stesso e pochi altri individui, ma come capirete, o saprete, chiunque poteva misurarsi e misurare per avere un responso di massima circa la propria natura sub-subrazziale. Ovviamente, alle misurazioni va unita l’osservazione antroposcopica (e la conoscenza, dunque, dei raggruppamenti razziali umani) e la già citata genetica delle popolazioni.

A questo proposito vi inviterei a farvi un bel test dell’ADN, che reputo soldi ben spesi se una persona ha a cuore l’approfondimento del proprio lignaggio. Ai tempi (2013), io e il mio “giro” lombardista ci testammo con 23andMe, ottimo ed economicamente abbordabile per avere una prima infarinatura, circa il proprio genoma. Stesso discorso per Living DNA e MyHeritage. Come ulteriore approfondimento, per chi volesse, ci sono anche AncestryDNA, FTDNA e Full Genomes, per citare qualche test.

Studiare, anche solo per passione, le razze umane è semplicemente amore per le proprie radici e per la biodiversità, e non è nulla di sbagliato, di criminale, di razzista o di folle, con buona pace di chi irride, con arrogante ignoranza, le discipline – scientifiche – che si occupano della questione.

Ma forse è giusto così, poiché il disprezzo di chi è parte integrante del sistema segna la via da non seguire per finire dritti dritti nelle fauci dell’omologazione, che è poi eradicazione e distruzione della propria identità e del proprio retaggio, anche biologici, non solo culturali. Chi ha invece due dita di cervello e del buonsenso, si tolga le fette di salame oscurantiste dagli occhi e si lasci avvincere dalla razziologia. Conoscere sé stessi e la propria stirpe, ma anche quelle altrui (partendo dall’Europa), è una marcia in più, non una in meno, soprattutto in questi tempi di relativismo distruttore e di gioventù dal cranio vuoto infarcito di spazzatura americana.

Il profilo etnico di Paolo Sizzi

Tavola craniometrica sizziana

Sono un maschio bergamasco (dunque lombardo) 38enne, abile, normodotato, eterosessuale, sano e senza allergie od intolleranze alimentari. Digerisco il lattosio senza problemi, il che è sintomo di nordicismo (e stando ad un test genetico ho il gene preposto alla lattasi).

Fisicamente, sono 1 metro e 80 centimetri per 70 chilogrammi, ectomorfo, mesoschelico e relativamente longilineo dunque; moderatamente dolicocefalo, dal viso lungo e stretto (leptoprosopo), biondo cenere scuro con capelli mossi e riflessi dorati, occhi azzurri alquanto infossati, fronte bassa e inclinata con arcata sopraccigliare discretamente pronunciata, naso leptorrino (lungo, stretto e diritto) dalla radice alta, zigomi accentuati, mascella e mento non marcati, filtro tra naso e bocca considerevole, labbro inferiore carnoso, nessun prognatismo.

Lateralmente si evince una testa lunga e medio-bassa con occipite curvo non arrotondato, orecchie dal lobo semi-attaccato e sporgenza sopraorbitale. Collo lungo e snello con pomo d’Adamo in vista.

Il cranio è abbastanza grande, allungato, con volta cranica medio-bassa e osso occipitale sporgente; tempie non arrotondate e – visto dall’alto in norma verticale – appare di forma piuttosto pentagonoide e compresso ai lati. La volta cranica è cilindrica, vista di profilo. Non presento bozzo occipitale.

La carnagione è bianco-rosea, la peluria scarsa e bionda, la barba rada e rossiccia ma crespa, non morbida. Non ho efelidi.

Il fisico è appunto segaligno, con ossa lunghe e robuste, spigolose, ma con più nervo che muscolo. Mani e piedi lunghi con dita affusolate nel caso delle prime. Le dita dei piedi paiono di fattezze “romane”. Il sesso è normoconformato, in linea coi parametri europidi.

Possiamo quindi dire che, tutto sommato, sono dal punto di vista sub-razziale un caucasoide bianco nordo-mediterranide con minori influssi arcaici di tipo cromagnonoide orientale (in gergo, ‘kurganoide’), un fenotipo, di base, non atipico per la Padania e le aree alpine limitrofe (con propaggini mitteleuropee e toscane/corse). L’aria pseudo-slava ravvisata da alcuni è sicuramente frutto delle diluite asprezze balto-cromagnonoidi.

Guardando me, viene naturale pensare ad una fusione fra il settentrionale tipo “ligure” autoctono (atlanto)mediterranide e quello celtico di tipo nordico, irrotto a partire dall’Età del ferro (ma anche prima) in Lombardia, dall’Europa centrale. Solitamente esso è definito Keltic Nordid. I tratti kurganoidi non sono da ascrivere a influssi slavi (inesistenti nella Bergamasca) ma a qualcosa di barbarico o di più remoto (conservatosi nelle Alpi).

Le caratteristiche nordidi sono corroborate dal gruppo sanguigno continentale, probabilmente indoeuropeo, A+, dalla tolleranza al lattosio, dagli ottimi livelli di vitamina D e dai rami famigliari paterno e materno in cui i tratti nordici sono mescolati con caratteristiche alpinidi (nel caso materno) e cromagnonoidi/dinaridi (nel caso paterno).

Mia madre, originaria dell’Isola brembana, è alpinoide mentre mio padre, originario della Val di Scalve, era piuttosto cromagnonoide e dinaroide. Ho inoltre due sorelle fondamentalmente alpinoidi, la prima con influssi dinaridi.

Dal test dell’ADN effettuato, si evince che la linea paterna (R1b-U152) è di origine indoeuropea, italo-celtica, ed è la più diffusa in Lombardia e Toscana (e Corsica); nello specifico, il clade Z36 (che è poi il mio) è di origine celtica/gallica e trova la sua massima distribuzione proprio nel cuore lateniano della Cisalpina. La linea materna è H1m, aplogruppo indigeno derivato da H1, che è il più ricorrente nell’Europa occidentale, di origine paleolitico-mesolitica. H1m è stato identificato in alcuni resti vichinghi di Orcadi e Svezia e, stando alla sua moderna diffusione, pare concentrato per lo più nell’Europa nordoccidentale.

A livello autosomico (non sessuale), invece, rientro perfettamente nel cosiddetto Bergamo sample, campione accademico (HGDP) di granlombardi provenienti dal Bergamasco.

Mi permetto di consigliare anche a voi un test genetico dal prezzo abbordabile, in particolar modo 23andMe, che feci io. La genetica delle popolazioni non si vede ma nel nostro sangue portiamo la stratificazione etno-razziale del nostro albero, che è poi responsabile, in parte, anche del nostro aspetto fisico. Censire geneticamente la popolazione indigena delle Lombardie è una cosa che mi emoziona al solo pensiero.

L’antropologia razziale, o razziologia, comprende antropologia fisica (craniologia e antropometria), genetica delle popolazioni, genealogia, araldica, onomastica, tutte nobili branche del nostro scibile che ci permettono di sapere di più circa le nostre radici, ma comprende anche l’etno-antropologia.

Altre caratteristiche interessanti che possono offrire questi test sono quelle relative ai tratti ereditati, alla salute, alle parentele genetiche con altri utenti testati e alle percentuali di specie umane arcaiche. Senza contare che, per quanto riguarda la schiatta, lo studio è assai approfondito. Altresì, vi è la possibilità di scaricare i propri dati grezzi per caricarli su siti terzi (come Gedmatch) e analizzare i propri risultati in maniera più approfondita.

La propria appartenenza etno-razziale ha risvolti anche sullo spirito, sulla mente e l’indole, sulle nostre inclinazioni; ‘razza’ non è solo dato biologico, materiale, ma anche culturale, spirituale, senza per questo scadere nel razzismo e nel suprematismo (che non sono esclusiva dei bianchi, sia chiaro).

La vecchia antropologia d’anteguerra, poco scientificamente, soleva collegare alle “sottorazze” fenotipiche delle qualità animiche e caratteriali. Volendo fare questa operazione, per mero diletto, potrei dire che l’unione dei tratti nordici e mediterranei mi porta ad essere una persona abbastanza diretta, scabra, leale, onesta, genuina, intrisa di ideali alti e nobili, assai attaccata alle proprie radici e alla propria identità e rispettosa dell’ordine e della tradizione (qualora permeati di aristocrazia vera e propria e di retroterra indoeuropeo). E le asprezze kurganoidi mi donano una pennellata propriamente ariana (non da intendere nell’accezione hitleriana, si capisce, ma in ottica kurganita).

Disprezzo la massificazione e l’individualismo libertino, il conformismo, la standardizzazione, il quieto vivere, la sterile non-vita basata unicamente su fatturato, consumismo ed edonismo, oltre che sullo sterile appagamento dei bassi appetiti umani, e non mi ritengo per nulla una marionetta nelle mani dei pifferai magici. Disprezzo inoltre il cinismo relativista.

Sono senz’altro imbevuto di mentalità bergamasca alpina, che è un po’ rude, gretta, bigotta e testarda, misoneista, ma di certo non sono uno di quei classici padani che pensa solo al lavoro (e al mito dell’imprenditoria), ai soldi e allo stile di vita borghese o da bifolco arricchito, mentre i “foresti” e lo Stato tricolore gliela fanno sotto al naso. Diciamo pure che rielaboro, in maniera originale, il temperamento orobico.

Non mi sento chiamato o “eletto” (come qualcun altro), ma credo di essere un tipo umano piuttosto insolito nella propria ruvida genuinità foriera di disprezzo per la massificazione, nel proprio anticonformismo, nel proprio rifiuto e disprezzo per la modernità devastatrice, la mondanità e il becero andazzo di questi tempi che appiattisce tutto sul profitto e sul superfluo. Come soglio dire:

A só mia s-cèt de chès-ce tép de lögia.

Tendo ad essere nettamente anti-mondano, non ho amicizie nutrite e compagnie, ma non ho problemi col gentil sesso e avverto l’importanza di mandare avanti la stirpe, per sfuggire agli orrori moderni di una Lombardia e di un’Europa nella morsa dell’auto-genocidio spensierato, sebbene non la viva come un’ossessione. Mi rifugio nell’etnonazionalismo, nell’identitarismo e nel tradizionalismo duri e puri, senza alcun compromesso ideologico con lo status quo. Dobbiamo recuperare la nostra perduta eredità ariana/indoeuropea, conciliandola con la nobiltà delle radici romano-cristiane.

Ariana, sì; se parlare di arianesimo, razzialmente, appare oggi fuorviante e un po’ forzato, parlarne caratterialmente e spiritualmente non lo è, perché abbiamo lingue indoeuropee, siamo intrisi di cultura e mentalità indoeuropee, portiamo cognomi e nomi di tradizione ariana, e geneticamente e fisicamente spesso riaffiorano i tipici tratti dell’Ariano, anche nell’Europa occidentale e meridionale. E guardate che ‘Ariano’ non è una bestemmia, è l’etnonimo indoeuropeo, un tempo diffuso in tutto lo spazio indogermanico.

Siamo bianchi, europei, di retaggio ario, lo possiamo tranquillamente dire senza incorrere in anacronismi, neonazismi, ridicolaggini; tuttalpiù i problemi deriverebbero dagli stomachini deboli di progressisti, liberali, cristianucci all’acqua di rose e minoranze poco democratiche, che in Occidente diventano lobby.

E, in fondo, dobbiamo sforzarci di essere degni dei nostri padri almeno dentro, se vogliamo salvare le nostre patrie e l’Europa, perché solo un eroico sforzo collettivo etnonazionalista porterebbe alla vittoria e alla salvazione del nostro continente, e della nostra agonizzante civiltà, bisognosa di palingenesi.

In noi dovrebbe rivivere il piglio guerriero dei nostri antichi padri indoeuropei: Celti, Veneti, Galli, Romani, Longobardi. Senza tralasciare, naturalmente, la più nutrita parte della nostra identità genetica e fisica, biologica, che è certo preindoeuropea. Ma da questo punto di vista importa essere europidi.

L’arianesimo è il modello etnoculturale che ha fatto l’Europa giunta sino a noi, e di cui dunque dobbiamo andare fieri. Ogni popolo europeo deve superare le proprie tare, riscoprirsi indogermanico, e darsi da fare concretamente per il benessere etnico e spirituale della propria gente.

Nel caso bergamasco e lombardo va temperata la suddetta mentalità “alpina” che, in negativo, porta gli uomini a saziarsi solo di lavoro, di guadagno, di fatturato, di placide sicurezze, di mentalità meschina, coniglia, conformista e “trasgressiva” solo in peggio, nel caso giovanile (tabacco, alcol, droghe, sesso amorale, calcio vissuto come ragion di vita, divertimento sterile e deleterio, adesione acritica alle sciocche mode d’oltreoceano).

E va abbandonata la mentalità cattolica modernista (che non ha nemmeno più nulla a che vedere con la religione), corroborata dal Concilio Vaticano II, che è la cagione del relativismo, del cosmopolitismo, dell’assistenzialismo, dell’egualitarismo suicida, della castrazione dell’indole combattiva che fu dei nostri padri, in cambio dell’orrida mentalità masochista che vede nei nemici gli amici e nei patrioti i nemici.

Io provengo da una famiglia prevalentemente di mentalità “alpina” laddove si intendano le virtù e i valori (onestà, laboriosità, morigeratezza, pragmatismo, genuinità, rustico attaccamento alle origini e alle tradizioni), certo intensificata dall’età anagrafica e dal ceto sociale; mio padre e mia madre sono originari di famiglie contadinesche arcaiche, umili e semplici, ove contavano solo la Chiesa, il lavoro massacrante, e il nucleo ricco di prole, e cioè la norma della vecchia Bergamasca. Sono orgoglioso dei miei natali, ma so anche, comunque, riconoscere i limiti della tempra montanara e colonica, che sono del resto la cagione della cattività tricolore e globalista.

Ciò che i nostri genitori e nonni, bisnonni, trisnonni, avi hanno subito per colpa di certo clero e della classe agiata “guelfa” parassitaria (i vari “marchesi” paesani), ci insegna come la religione non possa prescindere dal rispetto del popolo e della patria, pena la trasformazione in oscurantismo e sfruttamento, a vantaggio di soggetti dannosi al benessere comunitario. E si vede ancor meglio oggi, dove la Chiesa postconciliare, dopo aver rinnegato quella precedente, ci beffa riempiendoci di allogeni da mantenere e subire, con tanto di untuosa retorica terzomondista.

Solo con l’autodeterminazione del proprio popolo ci si autorealizza, senza perder di vista la propria identità e senza perdersi, liquefarsi nel mare del nulla globalista e postmoderno, che punta alla totale standardizzazione cosmopolita per la distruzione non dell’individualismo ma di quello che viene sprezzantemente bollato come “particolarismo”; da chi vuole un mondo omologato, livellato, tritato, senza sangue, senza suolo, senza spirito dobbiamo sempre guardarci, poiché sono soggetti che vogliono lasciare il nostro continente senza più speranza di salvarsi da questo olocausto indotto.