Simbologia

Esporremo ora bandiere e simboli della Lombardia etnica e della Grande Lombardia, al fine di rendere onore al retaggio etnoculturale e storico delle genti lombarde, dando degna rappresentanza al carattere nazionale cisalpino. Ci soffermeremo anche sull’Europa, nell’ottica di una grande famiglia confederale che costituisca, con la Russia o in alleanza con essa, un impero “euro-siberiano” incarnato da genti indigene accomunate da un lignaggio inimitabile, che dall’epoca mesolitica, passando per quella neolitica, sbocca nella straordinaria epopea indogermanica. Il mastice “imperiale” è dato dalla razza europide/bianca.

Il punto di vista lombardista si concentra più sulla comune eredità etnica delle Lombardie che sul particolare regionale, sulla lombardità quindi, perché la nazione è una ed è la (Grande) Lombardia. Nonostante ciò, esso difende e promuove anche la salvaguardia delle specificità locali di ogni suddivisione territoriale storica, al netto di inutili campanilismi o di ridicoli micro-indipendentismi. L’etnonazionalismo lombardo, il lombardesimo, va dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone, come recita il motto dell’associazione politico-culturale Grande Lombardia.

Vale anche qui il discorso relativo alla questione linguistica: vogliamo preservare la naturale varietà ma al contempo promuovere la presa di coscienza panlombarda che porti ad un’unificazione nazionale sotto l’egida del lombardesimo (e in senso linguistico del milanese classico volgare, principe dei nostri idiomi), a partire ovviamente dalla Lombardia etnica. Il fiorentino letterario (l’italiano), lingua franca straniera, andrebbe gradualmente eliminato in favore del lombardo (il milanese puro, appunto), accostandolo alle lingue locali indigene (varianti “gallo-italiche”/lombarde, ligure, veneto, ladino in senso lato).

Ecco la nostra proposta di vessillo panlombardo, sia etnico che grande-lombardo, un vessillo inquartato che unisce la guelfa Croce di San Giorgio (già bandiera della capitale ideale Milano e della Lega Lombarda) alla ghibellina Croce di San Giovanni Battista (già bandiera della capitale morale Pavia e dell’esercito del Sacro Romano Impero); queste due croci medievali sono diffusissime nelle città della Grande Lombardia, per ragioni storiche e identitarie, e rappresentano dunque al meglio le anime della nostra terra: quella comunale e nazionale, ossia il particolare, e quella imperiale, ossia l’universale (ovviamente in accezione europea). Anche il cromatismo biancorosso “alpino” è assai ricorrente nelle terre padano-alpine.

Croci lombarde

In alternativa si potrebbe pure pensare ad una soluzione grafica di questo tipo:

Croci lombarde 2

Insostituibile insegna della lombardità è il Ducale visconteo, tradizionalmente associato all’Insubria (Lombardia transpadana occidentale). Noi lo inquadriamo come stemma lombardo, che accosta mirabilmente il simbolo per antonomasia del nostro popolo, ossia il longobardo Biscione, l’azzurra vipera di cui esistono reminiscenze persino a Benevento (col tocco dal gusto crociato grazie al nemico moresco ingollato), a quello latino-germanico dell’Aquila imperiale, ossia dell’Europa più alta e nobile in cui ci riconosciamo, e di cui la Lombardia fa degnamente parte. La nostra terra è, infatti, anello di congiunzione tra mondo mediterraneo e mitteleuropeo.

Ducale visconteo

Simbolo della Lombardia transpadana occidentale (Insubria) è la Scrofa semilanuta, un emblema celtico/gallico che risale ai tempi di Belloveso e della fondazione sacrale di Milano (in cui si inserisce anche il tempio dedicato a Belisama, che sorgeva dove oggi si trova il Duomo; la Madonnina ha, non a caso, reminiscenze di quella dea celtica, nonché della romana Minerva). Il cinghiale è un classico animale totemico dei Celti.

Scrofa semilanuta

Come simbolo della Lombardia transpadana orientale (cosiddetta Orobia) abbiamo pensato ad una ruota solare camuna in versione di swastika, simbolo tratto dalle incisioni rupestri della Val Camonica. Una variante certo più nobile della famosa rosa camuna inflazionata dalla regione del Pirellone, grazie al palese rimando astrale e solare e al cromatismo sacrale indoeuropeo. Ne esistono due versioni, ideate da Paolo Sizzi: la prima, scelta dal Nostro come emblema del lombardesimo, riprende l’originale inclinazione astronomica dell’incisione di Carpene, la seconda, riportata qui sotto, allinea le coppelle per formare una croce greca, rimandando così alle Croci lombarde e al disco solare ario-europeo. Lo sfondo grigio simula la parete rocciosa ma è anche un tributo al colore sociale lombardista (sebbene plumbeo).

Swastika camuno

Oltre al petroglifo di Carpene ne esiste un altro ben noto, che è quello di Paspardo, il cui andamento è destrogiro, anziché levogiro:

Swastika camuno 2

Classico emblema della Lombardia subalpina (cosiddetto Piemonte, o meglio, Taurasia) è il Drapò, la bandiera con la Croce di San Giovanni Battista e le ornature azzurro sabaudo, rimembranza del ramo piemontese del Ducato di Savoia. Il tema dei vessilli e degli scudi crociati è davvero un topos della simbologia storica lombarda, e non solo in accezione cristiana: la croce è un antichissimo simbolo solare ispirato alla spiritualità e alla cosmologia ariane.

Drapò

L’aquila degli Este, e dell’antico Ducato di Modena e Reggio, può rappresentare la Lombardia cispadana (cosiddetta Emilia, o meglio, Boica). Tale vessillo si ricollega all’origine longobarda degli Estensi, originatisi dagli Obertenghi, medievali signori della Grande Lombardia occidentale.

Aquila estense

La Croce di San Giorgio è divenuta simbolo famoso grazie innanzitutto a Genova e alla Liguria repubblicana, e in seconda battuta grazie a Milano e alla Lega Lombarda, anche se più facilmente viene associata all’Inghilterra. Per quanto tale vessillo sia inequivocabilmente legato al cristianesimo cattolico e al guelfismo, sarà utile ricordare come San Giorgio fosse una figura guerriera particolarmente cara ai Longobardi, assieme ovviamente a San Michele, grazie ad una interpretazione cristiana delle bellicose divinità germaniche. Il negativo del Sangiorgio, invece, ossia la ghibellina Croce di San Giovanni Battista, riprende la Blutfahne imperiale, bandiera da guerra del SRI.

Sangiorgio

Per la Romagna (o Senonia) vediamo positivamente questo bipartito rosso-dorato, cromatismo romano e imperiale, che fa da sfondo al galletto e alla caveja, due simboli romagnoli classici: il galletto è animale solare e totemico dei Galli Senoni, mentre la seconda è un’asta d’acciaio conficcata un tempo nel timone dei carri della Romagna trainati dai buoi, accompagnata da alcuni ornamenti tradizionali di origine pagana o cristiana.

Caveja

Il famoso Leone alato di San Marco, vessillo del Veneto e prima ancora della Serenissima, nella versione con libro chiuso e spada sguainata, a simboleggiare quasi la necessità delle Lombardie di tornare a combattere per la difesa della propria vera identità e per la libertà delle proprie terre.

San Marco

L’aquila fiammeggiante di San Venceslao rappresenta la Rezia cisalpina (ossia il Trentino e il Tirolo originale), un antico simbolo medievale già insegna del Principato vescovile di Trento. Non siamo ostili ai germanofoni cisalpini (e ad ogni altra minoranza alpina) ma da lombardi difendiamo innanzitutto l’eredità retica, romanza e celto-germanica del Tirolo propriamente detto, cioè la sua porzione meridionale, grande-lombarda.

Aquila di San Venceslao

Per il Friuli (o Carnia) vediamo bene l’antico vessillo del Patriarcato di Aquileia, che tradizionalmente presenta sfondo blu; per distinguerlo da quello estense della Lombardia cispadana, opteremmo per la versione da guerra della bandiera friulana, ove l’aquila campeggia su sfondo rosso.

Aquila friulana

Infine, per la Venezia Giulia storica (che noi denominiamo Istria), ecco il classico simbolo della capra istriana, un antichissimo emblema che risale all’epoca romana e rappresenta territori crocevia fra Veneti, Illiri e Celti.

Capra istriana

Merita una citazione il povero sole delle Alpi (o sole celtico), il cui significato è stato inflazionato dalle pagliacciate propagandistiche, e mercatistiche, della vecchia Lega Nord. Il simbolo, già studiato da Gilberto Oneto, è uno squisito emblema celtico/celto-ligure alpino-padano, rivisitato dai Longobardi e dall’arte cristiana. Esprime il culto solare indoeuropeo e l’armonia che i Celti instauravano con la natura e il ciclo delle stagioni, nonché della vita e della morte, e della rinascita (primaverile). È un simbolo beneaugurale che irradia la gioia di vivere celtica, contrapposta alle tenebre ctonie e lunari esemplificate da drappi neri, teschi, iettatori, prefiche, corna e catafalchi dal sapore levantino che tanto piacciono a certe latitudini… Appare più sensato rosso che verde “padano”, riprendendo così la peculiare colorazione biancorossa cisalpina. Un motivo similare compare in altre culture antiche europee come, ad esempio, in area gallica transalpina, lungo l’Appennino e presso gli Etruschi.

Sole celtico

Ci venga concesso un cenno allo stemma della città di Bergamo, il capoluogo sizziano, che affonda le proprie radici nel Medioevo comunale:

Sole raggiante orobico

Lo scudo sannitico bipartito (in origine palato), ha il classico cromatismo nobiliare rosso-dorato tipico della romanitas, in cui il rosso rappresenta il sangue del popolo e l’oro le messi bergamasche e la feracità del suolo orobico. Lo scudo è racchiuso in un cerchio blu, raffigurante il cielo, a sua volta inglobato in una raggiera similare alla più nota Razza viscontea, un simbolo cristologico volto a rappresentare Gesù come sole di salvezza e redenzione, e l’autonomia politica del comune bergomense.

Seppur le intenzioni di chi ha fatto questo stemma siano state cristiane, è interessante rivedere in esso anche un rimando indoeuropeo alla solarità, al celeste, al mondo uranico di valori alti e spirituali che hanno caratterizzato la religiosità e l’etica dei nostri arii padri. Valori che, del resto, il cristianesimo ha ampiamente assorbito e fatti propri.

Anche lo stemma della Provincia di Bergamo è particolare, oltre che molto caro alle genti bergamasche:

Provincia di Bergamo

Chiaramente ispirato al simbolo e ai colori tradizionali del comune orobico, fonde due stemmi nobiliari bergamaschi, quello dei Bersani (con l’Aquila imperiale nera) e dei Camozzi (con il cervo in corsa). Il cervo è l’animale simbolo della terra bergamasca e riecheggia il culto alpino e celtico di Cernunnos. Già che ci siamo ricordiamo che il toponimo di Bergamo deriva, con tutta probabilità (e come già suggeriva il Mommsen), dal nome del dio celtico Bergimus, secondo alcuni divinità dei monti e delle alture (radice protoceltica *bherg- ‘colle, monte’), secondo altri, come l’archeologo Angelo Ardovino, della magia e delle fasi lunari, affine al gallico transalpino Ogmios.

Prima di venire all’ambito europeo val la pena spendere qualche parola per il simbolo di Grande Lombardia, analogo a quello del precedente Movimento Nazionalista Lombardo, entrambi concepiti dal Sizzi:

Logo MNL
Logo GL

Si chiama Croce lombardista e consiste, fondamentalmente, nell’integrazione della Croce di San Giorgio panlombarda e comunale con la ruota solare indoeuropea, fondendo così le due croci tradizionali care ai lombardisti, tanto di valenza pagana quanto cristiana (le due anime della civiltà europide). Nel logo di Grande Lombardia questa simbologia di partenza viene arricchita da un altro cerchio che racchiude la Croce precedente andando a costituire una rinnovata insegna lombardista nata dall’armonica unione tra Sangiorgio e Sangiovanni – anch’esso panlombardo ma imperiale – mediata dal disco solare indogermanico. E così l’abbraccio tra Lombardia etnica e Grande Lombardia suggella l’estensione del progetto lombardista a tutta la nazione storica lombarda, che a sua volta si inscrive nella grande famiglia imperiale europea.

A coronare la nobiltà e il prestigio del simbolo la pennellata rosso-bianco-nera mutuata dai colori sacri degli Indoeuropei che, peraltro, ben si sposano con quelli classici lombardi. Nel vecchio logo dell’MNL si può vedere come i cerchi concentrici formino la bandiera della Tradizione, un vessillo che, unito alla ruota solare, crediamo sia il miglior candidato a costituire un’ipotetica insegna “euro-siberiana”, espressione dell’impero confederale d’Europa.

Croce solare
Swastika

La ruota, o croce, solare (la banalmente detta “celtica”) rappresenta alla perfezione i tipici simboli di tradizione indoeuropea, relativi alle più antiche radici della nostra grande patria europide dunque, intrisi di quella visione solare ed uranica che era caratteristica delle genti ariane e che ha plasmato il nostro continente fecondando il suo retroterra più arcaico (continentale e mediterraneo). Ricorda da vicino lo swastika, emblema ariano principe, che nonostante la strumentalizzazione antifascista simboleggia il sole, l’energia vitale, i movimenti astrali, la fortuna ed è carico di positività.

Bandiera della Tradizione

Il cromatismo ariano succitato rappresenta, come detto, la bandiera della Tradizione, molto cara ad ogni identitario völkisch ed indoeuropeista. Tale drappo riflette la tipica tripartizione funzionale della società ariana costituita da sfera militare, sfera spirituale e sfera rurale, che si rispecchia anche nel pantheon dei principali credi indoeuropei. In base a ciò noi possiamo ravvisare nel rosso il sangue indogermanico versato sui campi di battaglia dai nostri padri, nel bianco il luminoso spirito della gentilità accolto dalla religiosità cattolica tradizionale, nel nero l’ubertoso suolo europeo inscindibilmente legato alla razza. Cosicché chi difende questi colori, e questi valori, difenderà anche il popolo, la sua cultura, la sua terra.

Una citazione d’obbligo merita la classica Aquila bicipite imperiale nera su sfondo dorato, simbolo di Occidente e Oriente europei, possibile “stemma” dell’Eurussia, le cui origini affondano nel passato romano, bizantino, celto-germanico, mitteleuropeo e russo.

Aquila bicipite imperiale

Per chiudere ecco una rassegna di altri importanti simboli solari ariani, tra i più noti, che sono espressione di nazioni riconducibili a precisi ambiti geografici e storici, ma che non vogliono essere bandiere di Stato; esso, come sappiamo, deve coincidere con la (vera) nazione e in questo senso ogni (vera) patria europea ha il diritto all’autodeterminazione e ad organismi statuali indipendenti dagli apparati mondialisti di matrice illuminista, massonica, giacobina o liberale e antifascista. Va da sé che l’adozione di bandiere nazionali spetti alle nazioni interessate.

Per l’Iberia il Lauburu. Simbolo sia basco che celtiberico dalla evidente valenza solare e astrale, ma anche relativa al ciclo vitale. Appare molto affine allo swastika, anche nel significato (destrogiro e levogiro).

Lauburu

Per la Gallia la triscele. Racchiude in sé il potere del numero perfetto tre, che si manifesta attraverso le tre spirali e rappresenta il ruotare delle energie, naturalmente anche in accezione solare. Come nel caso di altri emblemi solari il significato varia a seconda dell’orientamento del simbolo, ed è stato riadattato dal cristianesimo per simboleggiare la solarità del Cristo e il mistero della Trinità.

Triscele

Per la Britannia la triquetra. Un altro simbolo celtico molto famoso, la cui valenza è analoga alla triscele e rappresenta le tre forze naturali (terra, aria, acqua) e i tre gradi dell’evoluzione dell’esistenza (vita, morte, rinascita), aspetti di un unico ente che è il tutto.

Triquetra

Per la Germania il sole nero. Si tratta di una variante germanica dello swastika con eguale simbologia solare, dunque; può rappresentare una ruota dell’anno grazie ai suoi dodici raggi che rimandano all’andamento del sole con il susseguirsi dei mesi. Per quanto associato alle SS, questo emblema è assai arcaico e risale alla storia teutonica antica.

Sole nero

Per la Scandinavia il Valknut. Legato al paganesimo germanico e norreno, ha una valenza similare a quella della triquetra e si collega intimamente agli attributi odinici, nonché ai guerrieri caduti in battaglia e accolti nel Valhalla.

Valknut

Per il Balticum il Tursaansydän. Presso i popoli finnici e, soprattutto, baltici i simboli affini allo swastika sono assai importanti (vedi anche il lettone Pērkonkrusts) poiché rappresentano l’importante eredità ariana che riguarda il loro areale. Il simbolo in questione ha un uso beneaugurale e pare che si connetta anche al martello rotante di Thor, ma pure ai fulmini del dio Perkūnas, divinità comune a tutti i popoli dell’areale baltico.

Tursaansydän
Pērkonkrusts

Per la Slavia le mani di Dio. Un simbolo tratto dal paganesimo slavo e ricorrente in Polonia, sovente accostato allo swastika e ad altri simboli solari.

Mani di Dio

Per la Russia il Kolovrat. Simbolo pagano molto legato alla Russia etnica, riferito ad una divinità solare slava e avente medesimo significato del più noto swastika.

Kolovrat

Per la Balcania la croce solare. Anche questo è un classico simbolo, non solo balcanico (vedi Armenia), dal chiaro riferimento solare e astrale, legato al ciclo della vita e all’eternità, e mostra legami etnici con Daci, Traci e Illiri.

Croce solare

Per l’Ellade il sole di Verghina. Emblema della Macedonia ellenica è probabilmente correlato alla dinastia di Alessandro Magno e al pantheon olimpico, e porta con sé una squisita valenza uranica.

Sole di Verghina

Vi è, infine, l’Italia (etnica), dalla Toscana a Malta e dalla Corsica all’arcipelago di Pelagosa. Per questo areale s’era pensato al cosiddetto “fiore a sei petali”, affine al sole delle Alpi, un simbolo presente nel mondo etrusco, tra i Dauni della Puglia, nell’antica Roma e in altre aree italiche. Tuttavia, l’emblema/vessillo ideale per le terre della Saturnia tellus, ossia la genuina Italia, è il seguente:

Aquila repubblicana

Unisce l’Aquila di Roma, animale sacro a Zeus e Giove, ad altri simboli della classicità italico-romana quali il fascio repubblicano (di origine etrusca), il serto di alloro, la dicitura SPQR e il cromatismo rosso-dorato. Non conosciamo l’autore ma questa bandiera (in parte ispirata alla bandiera da combattimento della RSI) potrebbe benissimo rappresentare i popoli della reale penisola, gli Italiani etnici, lasciandosi alle spalle le bandiere tricolori, brutta copia del drappo giacobino d’oltralpe, che sono soltanto l’espressione senza storia degli interessi di pochissimi ai danni delle nazioni, quelle vere.

Ricorrenze e anniversari

Corona Ferrea di Monza

Ecco una proposta di calendario identitario (solare ovviamente) con i principali anniversari e ricorrenze lombardisti (lombardi ed europei). Non è di taglio prettamente cattolico, ma non vuole essere nulla di anticristiano, bensì una sorta di esperimento in chiave gentile, o ibrida.

In alternativa alla datazione canonica, cristiana, peraltro sfasata non essendo Cristo nato nell’anno 0, potremmo adoperarne una più consona alla bisogna, a partire dall’anno ritenuto, convenzionalmente, la fine dell’Impero romano d’Occidente, il 476 (in quanto apparato statale artificiale, soprattutto sul finire, parassitario, levantineggiante, anti-identitario); pertanto, oggi non saremmo nel 2022 ma nel 1546, o 1545 senza calcolare l’anno 0.

Chiariamo: tale datazione, unita alla dicitura ‘avanti era volgare’ ed ‘era volgare’, non ha patetici intenti giacobini, massonici, laicisti e new age (figuriamoci!) ma vuole semplicemente rappresentare un’alternativa “pagana” al consueto calendario di ispirazione cattolica (già di per sé intriso di echi pagani). E le uniche anime religiose tollerabili, nel contesto grande-lombardo, sono proprio il recupero della gentilità indoeuropea (più che altro in senso culturale) e, naturalmente, il cattolicesimo tradizionalista, segnatamente ambrosiano. ‘Volgare’ può anche essere un riferimento all’adozione dei volgari lombardi, in contrapposizione al latino, da parte della popolazione indigena.

Assieme a ricorrenze laiche abbiamo inserito alcune date cultuali care al tradizionalismo pagano, che incarna un mezzo spirituale per veicolare i valori etnonazionali lombardi ed esprimere una mistica del sangue coerente con il messaggio culturale e politico lombardista, anche perché i sette giorni della settimana sono mutuati proprio dalla gentilità, così come i nomi dei mesi.

A questo proposito, al posto dell’ebraico sabato e della cristiana domenica, abbiamo re-introdotto il saturdì (dies Saturni) e il soledì (dies Solis), primo giorno della settimana sebbene festivo, continuando la tradizione gentile. Pur avendo tolto riferimenti cristiani (e soprattutto giudaici) va precisato che il cristianesimo cattolico, d’altro canto, ha assorbito ampiamente il prima gentile, assurgendo ad erede imperiale ed universale (che, comunque, non significa cosmopolita e multirazziale) della romanitas ariana. Il Cristo riveste, così, i radiosi panni della solarità indoeuropea, novello Sol Invictus.

Per quanto chi scrive ritenga poco convincente (e serio) il ricostruzionismo pagano, al di fuori di un’attività meramente culturale e identitaria, può essere apprezzabile riscoprire le radici ariane del nostro continente e della terra lombarda, così come fronteggiare il degrado mondialista e modernista del cattolicesimo postconciliare mediante recupero della cristianità romana tradizionale. Merita attenzione anche il rito ambrosiano, latino ma con originali elementi gallici, un tempo esteso a tutta la Grande Lombardia.

Infine, saremmo favorevoli all’abolizione dell’ora legale, conservando la classica ora solare. Il tempo, le stagioni, gli anni devono essere scanditi dal sole, che da sempre è il punto di riferimento dell’uomo europeo, supportato in questo dalla mentalità indoeuropea, nostra guida etica e spirituale che ha influenzato profondamente anche il cattolicesimo romano (a differenza degli scismatici orientali, degli eretici protestanti in odore di giudaismo e del pulviscolo di settari cialtroni americani).

Gli anni qui indicati, per comodità, si riferiscono alla datazione tradizionale.

Gennaio 

1 gennaio: Capodanno.

2 gennaio (1492): resa di Granada, ultimo atto della Reconquista.

6 gennaio: falò di inizio anno.

10 gennaio (1072): liberazione normanna della Sicilia.

21 gennaio (1277): battaglia di Desio.

29-30-31 gennaio: giorni della merla.

30 gennaio (1972): Bloody Sunday.

Ultimo giovedì di gennaio: festa della Gioeubbia.

Febbraio 

1-2 febbraio: Candelora – Imbolc. Data intermedia tra solstizio d’inverno ed equinozio di primavera.

3 febbraio (1998): strage del Cermis.

10 febbraio (1947): foibe ed esodo veneto.

13 febbraio (1945): bombardamento di Dresda.

18 febbraio (1248): battaglia di Parma.

21 febbraio (1339): battaglia di Parabiago.

Carnevale/Quaresima.

Marzo 

1 marzo: more veneto (Capodanno veneto).

7 marzo: festa delle donne e delle madri (in quanto, anticamente, Matronali).

13: Tredesin de marz.

17 marzo: festa dei padri (in quanto giorno dedicato a Liber Pater).

18 marzo: ricordo delle vittime del COVID-19.

20-21 marzo: Ostara – Pasqua cristiana. Equinozio di primavera.

30 marzo (1397): nascita del Ducato di Lombardia.

Aprile 

2 aprile (568): discesa dei Longobardi di Alboino nella Cisalpina.

3 aprile (1077): nascita del Patriarcato di Aquileia (festa del Friuli/Carnia).

5 aprile (1945): bombardamento di Alessandria.

7 aprile (1167): giuramento di Pontida – Nascita della Societas Lombardiae.

23 aprile: San Giorgio (festa della Croce di San Giorgio).

24 aprile (1915): genocidio armeno e greco.

25 aprile: San Marco (festa della Venethia).

28 aprile (1487): battaglia di Crevola.

30 aprile: notte di Valpurga.

Maggio 

1 maggio: Calendimaggio- Beltane. Data intermedia tra equinozio di primavera e solstizio d’estate.

6 maggio (2011): nascita del Movimento Nazionalista Lombardo.

8 maggio (1898): cannonate di Bava-Beccaris contro la folla milanese.

11 maggio (1395): costituzione del Ducato di Milano (festa del Ducale visconteo).

28 maggio (1974): strage di Brescia.

29 maggio (1176): battaglia di Legnano (festa nazionale della Lombardia etnica).

Giugno 

3 giugno (1796): fuochi del Sacro Cuore di Gesù (festa del Tirolo cisalpino/Rezia cisalpina).

6 giugno: giorno dedicato a Belisama (matrona della Lombardia).

6 giugno (1431): battaglia di Pavia.

10 giugno (1944): bombardamento di Trieste.

11-12 giugno (1859): ritiro dello Stato della Chiesa dalle Romagne (festa della Romagna/Senonia).

20-21 giugno: Notte di mezz’estate – Litha. Solstizio d’estate.

20 giugno (451): battaglia dei Campi Catalaunici (l’Impero romano d’Occidente sconfigge gli Unni).

24 giugno: San Giovanni Battista (festa della Croce di San Giovanni Battista; fuochi solstiziali).

24 giugno (217 a.e.v.): vittoria di Ducario nella battaglia del Lago Trasimeno.

30 giugno (1422): battaglia di Arbedo.

Luglio (anche detto quintile)

6 luglio (1449): battaglia di Castione.

6 luglio (1944): bombardamento di Dalmine (Bergamo). Festa del lavoro.

10 luglio (1009): nascita di Alberto Azzo II, capostipite d’Este (festa della Lombardia cispadana/Boica).

10 luglio (1976): disastro di Seveso.

13 luglio (1943): bombardamento di Torino.

13 luglio (1944): bombardamento di Brescia.

18 luglio (388 a.e.v.): battaglia dell’Allia e sacco di Roma (Clades Gallica).

19 luglio (1747): battaglia dell’Assietta (festa della Lombardia subalpina/Taurasia).

27 luglio (1993): strage di via Palestro.

Agosto (anche detto sestile)

1 agosto: festa del raccolto – LughnasadhData intermedia tra solstizio d’estate ed equinozio d’autunno.

2 agosto: festa del sole (festa degli uomini).

2 agosto (1980): strage di Bologna.

13 agosto (1943): bombardamento di Milano.

26 agosto: giorno dedicato a Bergimus (patrono eponimo di Bergamo).

30 agosto (1706): sacrificio di Pietro Micca.

Ultimo sabato di agosto: San Bortolo (festa dell’Istria).

Settembre 

3 settembre (569): nascita del Regno longobardo a Milano (festa nazionale della Grande Lombardia).

5 settembre (1395): nascita del Ducato di Milano (festa della Lombardia transpadana occidentale/Insubria).

11 settembre (1683): battaglia di Vienna (festa dell’Europa).

15 settembre (1448): battaglia di Caravaggio.

18-19 settembre (1432): battaglia di Delebio.

22-23 settembre: festa della vendemmia – Mabon. Equinozio d’autunno.

25 settembre (1943): bombardamento di Bologna.

29 settembre: San Michele Arcangelo.

Ottobre 

7 ottobre (1571): battaglia di Lepanto.

9 ottobre (1963): disastro del Vajont.

10 ottobre (732): battaglia di Poitiers.

20 ottobre (1944): strage di Gorla – Giornata della memoria.

22 ottobre (1942): bombardamento di Genova.

31 ottobre-1 novembre: Calenda – Samonios. Capodanno celtico. Data intermedia tra equinozio d’autunno e solstizio d’inverno.

Novembre

6 novembre (2013): nascita di Grande Lombardia.

14 novembre (583 a.e.v.): fondazione di Milano.

25 novembre: Caterina Segurana (festa di Nizza).

Dicembre 

5 dicembre: Giorno dedicato a Cernunnos (patrono della Lombardia).

5 dicembre (1746): rivolta del Balilla (festa della Liguria).

7 dicembre: ricordo di Belloveso e Ducario (festa di Milano).

12 dicembre (1969): strage di piazza Fontana.

13 dicembre: Santa Lucia = Lucina/Angerona/Gambara (festa della Lombardia transpadana orientale/Orobia).

21-22 dicembre: Capodanno astronomico – Yule. Solstizio d’inverno.

25 dicembre: Natale solare e cristiano.

Abbiamo indicato gli anni con la numerazione consueta per comodità, e ci siamo permessi di aggiungere alcune festività che, nonostante la rivisitazione cattolica, sono intimamente pagane o legate fortemente all’identità delle genti lombarde. La maggior parte sono invece date storiche di interesse nazionale o culturale, a nostro avviso fondamentali per una sensibilità etnonazionalista völkisch.

Chi scrive non si ritiene pagano, essendo cattolico romano di formazione, ma tollera le forme di rinascenza gentile, in quanto espressione di religiosità e spiritualità indigene, ancorché il cammino iniziatico della gentilità si sia interrotto due millenni fa. D’altra parte anche la civiltà cattolica è prodotto autoctono, alla base della grandezza europea. Un recupero culturale del paganesimo sarebbe un tributo alle nostre radici, senza dimenticare che il cristianesimo, specie cattolico, è debitore, sotto diversi aspetti, della tradizione precristiana. Di sicuro, le uniche due religioni accettabili, nel panorama grande-lombardo, sono il cattolicesimo (preconciliare) e il paganesimo di matrice ariana (celtico, romano, germanico). L’idea di una Chiesa nazionale ambrosiana, grande-lombarda, è affascinante, fintanto che a Roma non disconosceranno il nefasto Concilio Vaticano II.

Abbiamo, ovviamente, eliminato ogni anniversario italiano (ed internazionale), che non è altro che un segnacolo dell’occupante straniero e repubblicano. Il “25 aprile” lombardo sarà la liberazione dall’Italia, non dell’Italia (già di per sé una pagliacciata retorica). Il carattere di giorno festivo di alcune delle date suesposte dipenderà dalle scelte dell’entità statuale granlombarda sebbene, in linea di massima, possiamo già indicare come papabili solstizi, equinozi, feste nazionali (o sub-nazionali, a livello locale) e alcune festività tradizionali cattoliche, dagli echi pagani.

Le Lombardie

Estensione della Lombardia etnica

Una battaglia fondamentale, e del tutto innovativa, portata avanti dal lombardesimo (e dalle associazioni ad esso ispirate come il Movimento Nazionalista Lombardo prima e Grande Lombardia poi) è quella relativa al concetto di ‘Lombardia’ (e parallelamente di ‘lombardi’), nonché al corretto utilizzo dei due termini.

Nel linguaggio comune si tende infatti a utilizzare il termine ‘Lombardia’ per identificare la suddivisione amministrativa denominata ‘Regione Lombardia’, creata nel 1970 dalla Repubblica Italiana, e il termine ‘lombardi’ per identificare gli abitanti del citato ente politico.

Ovviamente, se il chiamare la ‘Regione Lombardia’ semplicemente ‘Lombardia’ fosse soltanto una contrazione sbrigativa usata nel linguaggio comune, e se si fosse consci che l’ente politico non coincide con la terra lombarda, non esisterebbe alcun problema.

Purtroppo non è così: moltissime persone sono convinte che la Lombardia sia la Regione italiana omonima e duole constatare che questo fraintendimento esista perfino in ambito accademico e culturale!

Per spiegare gli errori grossolani dietro a questo diffuso equivoco interpretativo bisogna innanzitutto chiarire che, parlando di una “nazione”, si può cadere in un’altra trappola semantica poiché nel linguaggio comune si confondono sovente i termini ‘Stato’ e ‘nazione’, ritenendoli addirittura dei sinonimi in innumerevoli casi!

Tuttavia, i lemmi in oggetto hanno accezioni completamente diverse: se la parola ‘Stato’ rappresenta un ordinamento giuridico-politico che esercita il potere sovrano su un determinato territorio, e sui soggetti ad esso appartenenti, la parola ‘nazione’ identifica un complesso di persone che, avendo in comune caratteristiche quali la storia, la lingua, il territorio, la cultura e l’etnia, si identifica in una comune identità a cui essi sentono di appartenere (sentimento nazionale).

Se identificare uno Stato è un’operazione molto semplice e oggettiva, perché basta individuare un ordinamento che eserciti un potere sovrano, identificare una nazione è molto più complicato perché l’individuazione degli elementi caratterizzanti (storia, lingua, territorio, cultura ed etnia) richiede una maggiore valutazione soggettiva.

Ecco perché il lombardesimo vuole battersi per dare finalmente volto etnonazionale alla Lombardia (archiviando l’esperienza nell’entità statuale del tricolore), cosicché il campo sia sgombrato, una volta per tutte, da banalizzazioni, incomprensioni e inflazioni figlie anche dei confusionari in camicia verde. I danni del leghismo (vecchia scuola e nuovo corso) si ripercuotono pure sulla geopolitica cisalpina, ossia lombarda.

Dopo un lungo studio degli elementi caratterizzanti le popolazioni abitanti la Regione Lombardia e i territori limitrofi, si è giunti alla conclusione che la terra lombarda genuina, quella che andremo a designare come ‘Lombardia etnica’, comprende le seguenti caratteristiche: da un punto di vista storico, oltre a essere stata definita come Lombardia fino all’inizio dell’Ottocento, ha fatto parte della Gallia Cisalpina e del Regno longobardo, ha dato origine ai liberi comuni, all’epopea della Lega Lombarda e alle signorie, segnatamente a quella unificatrice dei Visconti; da un punto di vista linguistico, ha sviluppato le lingue galloromanze cisalpine; da un punto di vista territoriale, consiste nel bacino idrografico del fiume Po, delimitato da Alpi e Appennino; da un punto di vista culturale, ha sviluppato una civiltà che è anello di congiunzione fra Mediterraneo ed Europa centrale; da un punto di vista etnico, ha radici celto-liguri e galliche (romanizzate), con periferici contributi reto-etruschi, cui si è aggiunta una contenuta componente germanica (longobarda in particolare, a cui dobbiamo, del resto, il nostro etnonimo).

Basta quindi andare a verificare empiricamente questi punti per rendersi conto che, oltre ai territori sotto la giurisdizione dell’ente precedentemente nominato, la vera Lombardia comprenda anche la Regione Piemonte, la cosiddetta “Emilia” fino al confine storico rappresentato dal Panaro (che anticamente correva lungo il corso dell’estinto Scoltenna-Panaro, grossomodo sul confine provinciale di pianura che separa il Modenese dal Bolognese), il Canton Ticino, la Valle d’Aosta, il Trentino occidentale e alcuni lembi di terra del bacino imbrifero padano.

Il concetto di ‘Grande Lombardia’, che il lombardesimo, parimenti, propaganda, riguarda invece, in buona sostanza, tutto il settentrione della Repubblica Italiana, avente una precisa fisionomia che lo distingue dal resto dei territori “italiani” e il cui perno è, appunto, rappresentato dal fulcro della Lombardia etnica, e cioè il territorio padano-alpino designato poc’anzi.

La Cisalpina è una regione europea caratterizzata da una geografia subcontinentale (non peninsulare), da un clima submediterraneo temperato (eccetto l’area costiera ligure), da una conformazione alpino-padana che la colloca a metà strada fra il Mediterraneo e la Mitteleuropa; etnicamente parlando, è figlia della famiglia indoeuropea celtica e venetica (“italo-celtica”), corroborata dal comune elemento gallico, con degli influssi mediterranei e germanici; linguisticamente, appartiene al ramo occidentale delle lingue romanze, a differenza dell’Italia etnica che è romanza orientale; culturalmente, si inscrive in quell’anello di congiunzione fra Europa meridionale e centrale su cui si è costruita la nostra stessa storia, a cavaliere tra romanità e celto-germanicità.

Tutto ciò riguarda intimamente anche la sfera propriamente biologica (in senso antropologico e genetico) dei volgarmente detti “padani”, che fisicamente presentano un aspetto sovente mitteleuropeo (che non significa necessariamente germanico, precisiamo) e geneticamente si distanziano dall’Italia grazie alla maggiore eredità mesolitica, neolitica occidentale, steppica/indoeuropea e nordica. Per non parlare del dato esotico che interessa da vicino, in particolar modo, l’Italia estrema. Ciò sia detto senza alcuna venatura razzista, intendiamoci.

Siccome parlare di “padani”, di cisalpini o di “italiani” settentrionali significa perdere di vista la squisita accezione etnica e nazionale che ci riguarda, è decisamente doveroso parlare di granlombardi, indicando per l’appunto come Grande Lombardia tutta la mezzanotte della Repubblica Italiana.

Vi sono alcuni territori marginali che potrebbe apparire forzato chiamare (gran)lombardi, ma essendo parte integrante del continuum alpino-padano, “italo-celtico” (che significa proto-celtico/celto-ligure, celtico, venetico, proto-italico, gallico) e galloromanzo cisalpino non possono essere esclusi dal novero; mi riferisco a Liguria, Romagna storica, lagune venete, Venezia Giulia, zone peraltro poco o punto interessate dalla dominazione longobarda.

Ci sarebbero poi ambiti come quello valdostano, tirolese meridionale e isontino-istriano che esulano da un genuino discorso granlombardo, essendo popolati da minoranze straniere; tuttavia, quelle zone rientrano nello spazio geografico padano-alpino e, storicamente, prima dell’avvento delle minoranze suddette, il popolamento era cisalpino romanizzato.

I confini di questo areale granlombardo, che si potrebbe dividere in un troncone occidentale e uno orientale, sono le Alpi a nord, le Alpi e il fiume Varo a ovest, l’Appennino tosco-lombardo (corroborato dalla linea linguistica Massa-Senigallia) e il fiume Misa a sud, le Alpi, il torrente Eneo e il Quarnaro a est. Le due subregioni sarebbero una granlombarda occidentale (celto-ligure e linguisticamente lombarda) e una granlombarda orientale (reto-venetica con influssi mittel), sebbene la distinzione canonica rimanga comunque quella tra Lombardia etnica e Grande Lombardia. Si potrebbe, infatti, anche parlare di una Lombardia linguistica sia in senso ristretto (ossia quella in cui si favella la variante “lombarda” transpadana del cosiddetto “gallo-italico”) che in senso allargato (l’area “gallo-italica” cosiddetta, e la famiglia linguistica “gallo-italica”, a ben vedere, può essere tranquillamente definita lombarda).

Oltre alla Lombardia etnica fanno parte della Grande Lombardia: Nizzardo, Liguria/Genovesato, Lunigiana, Emilia orientale, Romagna, Ager Gallicus, Veneto, Trentino, Tirolo meridionale, Friuli, Venezia Giulia storica (l’attuale più Goriziano, Litorale, Carso, parte della Carniola interna, Istria, Fiume, Quarnaro).

Lo spazio lombardo-etnico e grande-lombardo è stato determinato combinando l’aspetto geografico (che non è un’opinione) con quello etnolinguistico e culturale (che a volte è assai controverso), affidandosi al primo criterio laddove serviva delimitare il territorio con precisione, ed è il caso del confine tra Lombardia etnica e Grande Lombardia e tra Grande Lombardia e aree extra-lombarde. Ciò è stato fatto sia in senso inclusivo che esclusivo, e infatti potete verificare come territori oggi amministrativamente sotto le regioni settentrionali della Repubblica Italiana, o comunque per certi versi storicamente “italiani”, siano stati esclusi proprio perché appartenenti ad altre regioni geografiche europee.

Un dato culturale interessante è quello rappresentato dalla considerevole presenza sul territorio di medievali croci lombarde, ossia quella di San Giorgio (guelfa) e quella di San Giovanni Battista (ghibellina), impiegate come stemmi comunali; la precipua è la prima, simbolo del comune di Milano e della Lega Lombarda, e anche di Genova e della sua antica repubblica, ma degna di nota è pure la seconda, emblema militare del Sacro Romano Impero che inglobò il Regno d’Italia medievale post-longobardo (fondamentalmente la Grande Lombardia con la Toscana), nonché simbolo della sua capitale Pavia, già capitale longobarda. Per citare i principali centri grandi-lombardi aventi tali stemmi ricordiamo: la capitale ideale Milano, Bologna, Genova e poi Oneglia (Imperia), Ivrea, Alba, Novi, Acqui, Alessandria, Bobbio, Vercelli, Varese, Lecco, Mantova, Reggio di Lombardia, Padova, Rimini (Croce di San Giorgio); la capitale morale Pavia, Susa, Aosta, Mondovì, Cuneo, Asti, Novara, Lugano, Domodossola, Como, Bormio, Borgo San Donnino (Fidenza), Vicenza, Treviso, Castelfranco, Ceneda, Forlì (Croce di San Giovanni Battista).

Il tema dello scudo crociato, al di là dei colori, è comunque diffusissimo nella Pianura Padana (e le origini della croce, prima che cristiane, sono ariane e pagane). Importante, però, è il cromatismo biancorosso, tipicamente alpino-padano, contrapposto al giallorosso mediterraneo di origine romana. Il Biscione è invece uno squisito emblema della Lombardia etnica, il simbolo più originale del popolo lombardo.

Il fulcro dell’azione (meta)politica lombardista è, ovviamente, la Lombardia etnica, ma l’areale grande-lombardo individuato è anch’esso parte della Lombardia nella sua accezione storica allargata, plasmatasi nel Medioevo: si tratta della, approssimativamente detta, “Alta Italia”, della Gallia CisalpinaLangobardia Maior, ambito etno-culturale distinto, grazie ad una identità e ad una tradizione peculiari conclamate, dal resto dell’Europa, a cominciare dall’Italia vera e propria, quella etnica. La Lombardia è, dunque, una nazione a tutti gli effetti, mentre la Repubblica Italiana un semplice Stato (a nostro avviso fallimentare), privo di qualsivoglia carattere etnonazionale.

La nazione dei lombardi possiede, indi, tutti gli elementi caratterizzanti una regione etnica e storica europea, dal profilo patrio, incastonata nell’Europa centromeridionale. Certamente, esiste un indebolimento della coscienza identitaria e del senso di appartenenza, tra i nativi, frutto della frammentazione secolare del popolo lombardo che ha sviluppato un particolarissimo continuum etnolinguistico e culturale (la lingua veneta è modellata sul veneziano e, nel Medioevo, Verona, Trento e le altre aree non lagunari si avvicinavano alle parlate lombarde classiche, come attestano Dante e il pavano, grazie al riemergere del comune substrato gallico). Tuttavia, il fenomeno è palesemente reversibile, sebbene richieda una ipotetica suddivisione amministrativa in numerosi cantoni relativamente omogenei, raggruppati in regioni a fini statistici e demografici.

Estensione della Grande Lombardia

L’Europa

Europa

Presentiamo, brevemente, il quadro etnonazionale dell’Europa, ossia le realtà etniche e culturali precipue del contesto continentale, dove per ‘etniche’ si intendono i grandi popoli storici prodotto della fusione di sangue e suolo, il cui spirito ha potuto plasmare un vero e proprio profilo nazionale. Gli Stati europei, soprattutto occidentali, sono semplici contenitori burocratici di genti spesso disparate, come la Repubblica Italiana dimostra.

‘Etnia’, insomma, designa l’interazione tra biologia e cultura (da cui la lingua e la mentalità, ad esempio), e viene inquadrata in un consesso storico e civile, a tutti gli effetti nazionale, che la racchiude mirabilmente. La grande famiglia comune è quella dell’Europa plurimillenaria di razza europide/bianca, forgiata da popolazioni ariane, Greci, Romani, pensiero classico e gentilità, Celti, Germani, Slavi (e altri minori), cristianesimo soprattutto cattolico, migrazioni barbariche ed importanti fenomeni storico-culturali e socioeconomici, ahinoi non sempre positivi (dall’Umanesimo all’Illuminismo, dal Rinascimento alle rivoluzioni contemporanee).

Per Europa si intende qui il continente europeo, grande spazio geografico e fisico coeso dai suddetti popoli e fenomeni, dalla genetica, dall’antropologia, dalla religione cristiana, dall’arianizzazione, e pure da quella nobile idea imperiale che va da Roma sino a Mosca, passando per il Sacro Romano Impero di matrice germanica ma riscopritore delle glorie romane e latine (come di quelle greco-elleniche, nel caso di Bisanzio).

La cartina riassuntiva allegata in apertura illustra le succitate realtà etnonazionali del nostro continente, che sono poi le vere nazioni europee, e che sono meritevoli di Stati indipendenti dalle finte entità statuali nazionali, di ispirazione giacobina, che tutti noi conosciamo. I futuribili e auspicabili Stati potrebbero anche essere organizzati su base federale, la scelta spetta ai popoli interessati. Nel caso grande-lombardo i precipui gruppi etnoculturali sono due: Lombardi etnici (con gli altri “gallo-italici” periferici) e le cosiddette “Venezie”. Si può discutere dell’opzione federalista, ma la nazione lombarda è solo una, con alcune minoranze storiche europidi compatibili.

Chiariamo ancora una volta: la Grande Lombardia include Nizzardo, Valle d’Aosta, Tirolo meridionale (Alto Adige) e Venezia Giulia irredenta in quanto parte del continuum geografico cisalpino, sebbene abitati da popoli minoritari alloctoni, ma pure perché territori storicamente legati alle genti lombarde. I confini geografici sono sacri, anche perché di fronte alle barriere fisiche c’è poco da discettare.

Elenchiamo ora le etno-nazioni individuate nella mappa suesposta:

Penisola iberica

  • Galizia (in blu)
  • Spagna (in arancione chiaro)
  • Catalogna (in violetto)
  • Paese basco (in viola)

Penisola (lato sensu) appenninica

  • Lombardia (in rosso)
  • Italia (in verde)
  • Sardegna (in giallo)

Hexagone

  • Francia (in marroncino)
  • Bretagna (in celeste)
  • Arpitania (in giallo)
  • Occitania (in rosa)

Germania

  • Bavaria (in blu)
  • Svevia (in verde)
  • Sassonia (in bordò)
  • Olanda (in arancione)

Isole britanniche

  • Inghilterra (in giallo)
  • Scozia (in blu)
  • Cambria (in violetto)
  • Irlanda (in verde)

Scandinavia

  • Norvegia (in verde)
  • Svezia (in giallo)
  • Danimarca (in azzurro)
  • Islanda (in rosso)

Slavia

  • Polonia (in verde)
  • Cechia (in azzurro)
  • Slovacchia (in rosa)
  • Rutenia (in arancione chiaro)
  • Bielorussia (in marroncino)

Balticum

  • Finlandia (in rosa)
  • Estonia (in grigio chiaro)
  • Lettonia (in verde chiaro)
  • Lituania (in arancione)

Russia

  • Russia europea (in blu)
  • Alania (in grigio scuro)

Carpazia

  • Ungheria (in grigio chiaro)
  • Romania (in bordò)

Penisola balcanica

  • Slovenia (in viola scuro)
  • Croazia (in giallo)
  • Serbia (in arancione)
  • Bulgaria (in verde)
  • Albania (in azzurro)
  • Grecia (in viola)

A corredo della cartina etnonazionale, si allega quella linguistica (le mappe sono state realizzate da Adalbert Roncari). Più sotto la legenda.

Europa linguistica

Lingue indoeuropee

  • Greco (in rosso)
  • Romanzo occidentale (in giallo)
  • Romanzo orientale (in arancione; il sardo viene, più propriamente, classificato come romanzo meridionale)
  • Germanico occidentale (in blu)
  • Germanico settentrionale (in azzurro)
  • Celtico (in marrone)
  • Albanese (in rosa)
  • Baltico (in viola)
  • Slavo meridionale (in verde marcio)
  • Slavo occidentale (in verde chiaro)
  • Slavo orientale (in verde)
  • Iranico (in marroncino)

Lingua basca (in grigio chiaro)

Lingue caucasiche (in verde acqua)

Lingue turche (in grigio)

Lingue uraliche (in grigio scuro)

Lingue mongoliche (in violetto)

La sistemazione ideale dell’Europa modellata alla lombardista (e, cioè, all’etnonazionalista, oltretutto rispettosa dell’etnolinguistica) è la grande confederazione imperiale “euro-siberiana”, dall’Atlantico a Vladivostok, che racchiuda tutte le nazioni europee unite dal collante razziale bianco, ovverosia europide. La geopolitica eurasiatica ha un senso se assume carattere indoeuropeo, fermo restando che la Federazione Russa è un continente a sé e che si può pensare anche ad una divisione dei blocchi: Europa da una parte, Russia e Siberia dall’altra. Ciò che conta è contrastare l’unipolarismo americano, smantellare Ue e Nato e sviluppare un robusto cameratismo biologico e spirituale tra gli indigeni bianchi eurasiatici, nel nome della solarità indogermanica e della comune lotta alla inevitabile degenerazione globalista (immigrazionismo, società multirazziale, relativismo, occidentalismo e sistema plutocratico/capitalistico).

Il ritorno (sul “Tubo”) di Paolo Sizzi

Pavol Sizz

Ebbene sì, signori, dopo dieci anni esatti Paolo Sizzi è tornato sul “Tubo”, aprendo un canale in cui si occupa di divulgazione culturale all’insegna del lombardesimo e della lombardità. Assieme a ciò sono anche sbarcato sul “Telegramma” inaugurando, parimenti, un canale in cui pubblico settimanalmente dei video, cioè gli stessi proposti su YouTube. In quest’ultima piattaforma mi trovate come Il Lombardista mentre su Telegram il canale è denominato come il blog da cui scrivo, Lombarditas. Mi auguro di fare cosa gradita a quanti sentivano la mancanza in video di chi scrive, e a tutti coloro che possono essere interessati a queste nuove avventure. Sino ad ora ho reso pubblici 6 filmati: uno di presentazione sul “Tubo” (con la versione bergamasca) e quattro sul “Telegramma”, e vedrò di portarmi in pari. Il giorno d’elezione della realizzazione è il saturdì/sabato, sull’esempio dei vecchi tempi, ma la condivisione sulle reti sociali viene posticipata al lunedì sera.

Se una decina di anni fa lo scopo era la propaganda politica e ideologica, relativamente al Movimento Nazionalista Lombardo, oggi mi voglio occupare principalmente di divulgazione, acculturazione e trattazione lombardista in chiave etnoantropologica, riservandomi di pubblicare, più avanti, qualche video di contenuto metapolitico e dottrinale. Il mio punto di vista, ovviamente, non è del tutto neutro, perciò è evidente come si possa intuire l’ideologia etnonazionalista ed indipendentista; tuttavia, si vuole cercare di dimostrare che, al di là della politica, le Lombardie hanno tutte le carte in regola per dirsi comunità nazionale, patria e insieme di popoli omogenei affratellati da un comune passato. Il vecchio canale fu chiuso con la cessata esperienza dell’MNL, ma devo dire che riscosse un discreto successo, che spero di eguagliare e superare.

Del resto, come si evince dalla casacca da me indossata, il colore sociale e la fede lombardista vengono rispettati, riallacciandomi idealmente all’esperienza militante degli anni scorsi. Vorrei, comunque sia, che il pubblico non partisse prevenuto sull’affidabilità e la credibilità di quanto dico, e sappia dunque ascoltarmi con attenzione, aprendosi poi – perché no? – al dibattito e al confronto, interagendo con me e con tutti quelli che mostreranno la mia stessa sensibilità e il mio stesso interesse circa gli argomenti affrontati. Invito sempre ad un dialogo franco e schietto ma al contempo civile e costruttivo; la goliardia e i toni accesi ci possono anche stare, a patto che non si esondi nelle sterili provocazioni e nel caos.

I commenti sono attivati tanto su YouTube che su Telegram e, già che ci sono, vi ricordo anche di aggiungermi, qualora lo vogliate, su Twitter e su Instagram: sul primo do spazio, oltre alla cultura, all’attualità, mentre sul secondo posto immagini relative all’esperienza del lombardesimo associativo, all’antropologia fisica, alla civiltà lombarda e alla dimensione culturale ed etnoantropologica del lombardesimo. I vecchi profili furono chiusi nella primavera scorsa per motivi di lavoro, e oggi vengono riproposti in una veste contenutistica rinnovata, per quanto sempre sotto l’egida del pensiero sizziano, come è ovvio che sia. Vi chiedo, nelle vostre possibilità, di aiutarmi a spargere la voce perché gradirei che il ritorno del Sizzi fosse accompagnato da una certa eco, che possa permettergli di raggiungere un uditorio sempre più ampio, non per velleità narcisistiche ma per diffondere la vulgata panlombarda e, quindi, lombardista.

Dai profili social diffondo anche gli articoli del blog, a cui invito ad iscrivervi per rimanere aggiornati e commentare. Ne approfitto per ringraziarvi anticipatamente della sequela, vedendo anche la risposta positiva in termini di iscrizioni ai canali succitati, che in pochi giorni hanno visto un concreto incremento. Mi fa piacere riscontrare un certo interesse, perché tutto quel che faccio è ispirato alla lombardità e vuole essere un tributo alla mia vera patria, che non è una piccola “matria” italica bensì una nazione a se stante a metà strada fra Mediterraneo ed Europa centrale. Vi esorto dunque alla sequela e al dibattito, senza precludermi, un domani, una trattazione più politico-ideologica che, comunque, in controluce è sempre presente.

Salut Lombardia!

Bergamo e il Covid-19: una disamina

Il bipartito rosso-dorato bergomense garrisce sul baluardo di San Giacomo (Bergamo alta).

Nel febbraio del 2020, poco prima che sulla Regione Lombardia e (soprattutto) sulla provincia di Bergamo si abbattesse la catastrofe del coronavirus, novella peste di manzoniana memoria [1], ricordo come, sul “Cinguettatore”, venni attaccato in massa per un tweet in cui esaltavo – non senza sapida ironia – le qualità cranio-facciali donatemi dalla natura. Come sapete, sono un grande appassionato di antropologia fisica e non perdo mai occasione di parlarne, anche in toni scanzonati, per divulgare le mie conoscenze in materia. Tra i caporioni che guidarono l’assalto al sottoscritto persino il virologo Burioni e il comico Bizzarri, evidentemente urtati dal termine ‘razza’ da me impiegato, sebbene persino un giornale insospettabile come Repubblica ne affermasse la bontà [2].

Era il 16 febbraio e la cosa andò avanti per giorni, mentre il 21 del mese si registrò il primo focolaio “italiano” di Covid, nel Lodigiano, e il giorno seguente i primi decessi [3]. Il virus irruppe prepotentemente sulla scena regionale lombarda e nel mese successivo fu chiaro come il moncone centrale della Lombardia storica fosse finito nell’occhio del ciclone. Il coronavirus imperversò con particolare furia nel territorio bergamasco, specialmente nei centri seriani di Alzano Lombardo e Nembro, tristemente noti per l’altissimo numero di dipartite e per la mancata istituzione della “zona rossa”, la quale travolse la città di Bergamo – poco distante dai due paesi – con conseguenze esiziali. Si è peraltro individuato un parallelo proprio tra la peste del 1630 e la diffusione del contemporaneo morbo nel Bergamasco, notando come le aree più colpite fossero precisamente quelle poste all’imbocco della Val Seriana [4].

Chiunque, cercando in rete, può documentarsi su quei terribili giorni di fine inverno 2020 [5], e d’altronde il martellamento mediatico, complici le misure del confinamento, fu alquanto intenso. Devo dire di non essermi mai occupato della faccenda, sul vecchio blog, per quanto proprio la mia terra fosse assurta all’onore delle cronache e rimbalzassero da un capo all’altro d’Europa, e forse del mondo, le immagini dei famigerati convogli militari italiani che trasportavano in altre città della Grande Lombardia le salme dei defunti bergamaschi, facendo fronte al collasso del forno crematorio cittadino. Allo stesso modo, prima ancora, divennero virali i filmati e le foto delle chiese stipate di bare, le pagine e pagine di necrologi de L’Eco di Bergamo e i reparti del Papa Giovanni XXIII in sofferenza, così come dell’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano, che fu al centro della bufera per tutta una serie di sfortune, ritardi e sottovalutazioni del pericolo [6]. Inevitabilmente un nosocomio diviene centro propulsore del contagio.

Non intendo addentrarmi in delicate questioni (tra cui il ruolo delle istituzioni tricolori e degli industriali) che non competono certo a questa sede [7], anche perché chi vuole può documentarsi ampiamente su tutte le vicende riguardanti la prima ondata del Covid a Bergamo e in Lombardia compulsando internet; qui, piuttosto, vorrei interrogarmi sul perché tale epidemia abbia fatto scempio particolarmente nella terra orobica, al di là dell’inevitabile disorientamento di fronte ad una piaga sino ad allora sconosciuta e chissà come sbarcata nelle Lombardie. Ci ricordiamo tutti delle mirabolanti trovate di esponenti democratici che volevano combattere il “virus” del razzismo e della sinofobia incitando ad abbracciare cinesi, strafogarsi di involtini primavera nei loro ristoranti e correre, correre, correre, come esortava a fare la Confindustria bergamasca [8], riproponendo l’analogo cancelletto del sindaco meneghino “Milano-non-si-ferma”. Lo stesso primo cittadino progressista di Bergamo, Giorgio Gori, fece mea culpa per aver preso sottogamba la situazione iniziale, incoraggiando i bergamaschi a vivere la vita di tutti i giorni [9]. Gli aperitivi piddini di Zingaretti aprirono la sagra in grande stile.

Certo, nessuno s’aspettava che l’oscuro morbo della remota Wuhan potesse insinuarsi tra le pieghe del quotidiano lombardo, addirittura dilagando nell’industriosa Val Seriana per poi prostrare il capoluogo orobico, ma ormai tra globalizzazione, viaggi intercontinentali, capitalismo sfrenato, vita frenetica, intensi scambi e contatti sociali su più fronti e dabbenaggine xenofila (pensate, col senno di poi, a quanto strombazzarono la necessità di non discriminare i cinesi tacciandoli di venefiche unzioni, accusa successivamente rivolta con disinvoltura ai lombardi) bisogna mettere in conto il rischio del diffondersi di moderne pestilenze di provenienza esotica. Un po’ di sano isolazionismo non farebbe di certo male. Qualche genio locale (antifascista e leghista) [10] ha avuto la brillante idea di appellare Bergamo la “Wuhan d’Italia”; a parte che l’Italia sta al di sotto dell’Appennino tosco-lombardo, mi chiedo a che pro etichettare in questo modo la propria città, pur riconoscendo la plumbea cappa che gravava sull’Orobia in quei drammatici giorni.

Innegabile, infatti, che la Bergamasca sia stata tra le aree più colpite dal Covid-19 in Europa (ricordo, comunque, che anche Brescia, Crema, Cremona, Lodi e Piacenza furono piuttosto piagate), e infatti in questo articolo mi chiedo perché il virus abbia così falcidiato i bergamaschi (ovviamente di una certa età), ma proprio per tale ragione essa merita un minimo di rispetto, senza indugiare troppo nel sensazionalismo giornalistico. Persino il New York Times si è occupato a più riprese del caso bergamasco, e il presidente del comitato sanitario di Nuova York – un certo Levine – arrivò a dire che qui da noi si raccoglievano i morti per strada, un’idiozia ripresa dall’ausonico De Luca [11]. A certa gente non sembrava vero di poter dileggiare in libertà gli odiati “polentoni”, già bollati come pellagrosi. Finché si tratta di umorismo nero si può soprassedere – a patto che si soprassieda anche sulle amenità nei riguardi degli intoccabili – ma se si esonda nelle diffamazioni verso un intero popolo la situazione cambia.

Al di là di impreparazione e sottovalutazione di fronte ad una minaccia inedita (che secondo taluni circolava in Lombardia già da dicembre 2019), ritardi, errori, sfortuna, casualità e responsabilità di Italia e Pirellonia (non da ultime le sparate dem all’insegna dell'”abbraccia-un-cinese”, mentre i governatori leghisti invocavano restrizioni da e verso la Cina), tra le concause che portarono al dilagare del coronavirus nel territorio di Bergamo si potrebbero indicare le seguenti:

  1. L’anzianità della provincia bergamasca (e la penetrazione del virus negli ospizi, con conseguenze disastrose);
  2. La nota partita di Lega dei Campioni tra Atalanta e Valenza, disputata a Milano, con la presenza di 45.000 tifosi bergamaschi a contatto con quelli iberici (e anche Catalogna e Spagna soffrirono parecchio per il contagio), sorta di detonatore biologico che accelerò drammaticamente il diffondersi del Covid;
  3. La capillare rete bergamasca fatta di relazioni, attività, imprese, operosità, contatti tra paesi circonvicini, in particolare di quelli della bassa e media Val Seriana, che da sempre rappresenta un popoloso ganglio industriale della provincia (a differenza della più “chiusa” Val Brembana o Imagna);
  4. La critica qualità dell’aria padana tra smog, inquinamento, particolato, polveri sottili, fatto che non può che indebolire l’apparato respiratorio, magari già compromesso da un passato da fumatori e da malattie pregresse (la maggioranza delle vittime erano uomini di una certa età dalla salute valetudinaria);
  5. Il tasso di globalizzazione – frutto di commerci e immigrazione – del cuore lombardo, una terra orgogliosa delle proprie radici ma al contempo aperta, con ricadute tragiche, al sistema-mondo e alle sue storture. Lo stesso ateneo cittadino promuove a piene mani l’internazionalizzazione;
  6. La genetica, che potrebbe anche aver protetto l’Italia etnica, segnatamente meridionale [12], a riprova delle differenze etniche tra Lombardie e Ausonia.

Proprio quest’ultimo punto (messo in luce, dopo l’ecatombe, anche da uno studio condotto dall’Istituto Mario Negri di Giuseppe Remuzzi [13]) destò da subito (nel marzo 2020) la mia curiosità, confortata da alcuni lavori trovati in rete [14]; se il Mario Negri indica nell’eredità neandertaliana – effettivamente più marcata nella Cisalpina che in Italia, e nel Nord Europa piuttosto che nel bacino mediterraneo [15] – una possibile predisposizione all’infezione da coronavirus, con un alto tasso di mortalità, ciò che attirò la mia attenzione fu il picco “italiano” dell’aplogruppo Y R1b, soprattutto del subclade R-S116 (da cui l’U152), che contraddistingue decisamente la provincia di Bergamo [16].

Tale lignaggio paterno (assente nelle donne, e infatti i più soggetti al Covid paiono essere proprio gli uomini) è riconducibile alle antiche popolazioni indoeuropee occidentali, soprattutto ai Celti/Galli, e per l’appunto le diverse ricerche reperite sottolineano l’altissima incidenza del contagio in aree europee a forte caratterizzazione etnica celtica – tra cui la stessa Bergamo – come Fiandre e Olanda (ma mettiamoci pure la celtibera Castiglia). Sembrerebbe, insomma, che la diffusione e la letalità del morbo abbiano avuto un tragico incastro con la linea genetica maschile, determinata dalla cospicua eredità gallica che proprio nel Bergamasco (ma anche nella Lombardia etnica in generale) vede la sua acme. L’impatto del coronavirus fu drammatico pure nelle aree contermini, come già ricordato, in particolare a Brescia.

Uno studio [17] di un ricercatore, tal Sebastiano Schillaci, riprese un mio cinguettio del 31 marzo 2020 in cui segnalavo – indipendentemente dalle osservazioni di altri – la possibile correlazione tra R1b e incidenza del virus; la mia riflessione era riferita alla situazione di Bergamo e di Brescia, in cui si registrano i picchi di R-U152, fors’anche a livello europeo, suggerendo un possibile legame tra lascito paterno celtico e suscettibilità/mortalità delle infezioni da Covid-19. Il tweet, con la chiusura del mio vecchio profilo, non è più visibile perciò riporto due ritagli di schermata relativi allo studio in oggetto:

Schillaci 1
Schillaci 2

Un’ultima considerazione riguarda il possibile statuto di isolato genetico, e dunque di accentuata omogeneità, rappresentato dalla Bergamasca, come si osserva in questo studio relativo ai geni responsabili della predisposizione a sviluppare il tumore al seno; anche se riguarda le donne le conclusioni possono tranquillamente essere estese a tutta la popolazione che, come avrò modo di illustrare venendo a trattare di genetica delle popolazioni, presenta un aspetto particolarmente conservativo, frutto anche della “chiusura” di una provincia prevalentemente montuosa che ha preservato più di altre l’aspetto mesolitico-neolitico, pur avendo una forte caratterizzazione maschile celtica [18]. Con tutta probabilità l’eredità celto-germanica – che biologicamente non è preponderante in Padania – si è concentrata all’imbocco delle valli, in città, nel contado e nella pianura, dove fra l’altro vi è capillare testimonianza di una toponomastica “nordica”. Valli e monti rimasero per lo più appannaggio di popolazioni reto-liguri, anche se il lignaggio paterno resta nella maggioranza dei casi di matrice gallica [19].

Pare che in seguito alla devastazione della prima ondata, e all’alto tasso di infettività, le genti bergamasche abbiano sviluppato, subito dopo, una sorta di immunità di gregge che le hanno avvantaggiate rispetto ad altre zone alle prese con la seconda ondata. Il bilancio di marzo-aprile 2020 resta comunque tragico, come si può leggere ad esempio qui o qui, o in questo articolo che traccia delle statistiche in idioma d’Albione. La tempesta che si è scatenata sull’Orobia in quel fosco periodo di due anni fa ha mietuto una generazione di bergamaschi depositari degli immortali valori identitari e tradizionali, nonché della sacralità del focolare domestico e della famiglia. La loro stessa morte, lontano dagli affetti e senza nemmeno un funerale, culminata in svariati casi in un viaggio fuori provincia per la cremazione, a bordo di lugubri mezzi dell’esercito italiano, fu un pugno nello stomaco per migliaia di famiglie orobiche, che legittimamente oggi chiedono chiarezza e giustizia alle istituzioni del tricolore. La lezione che se ne ricava? La necessità di preservare la sacralità della vita umana, e della salute della collettività, dai miti del profitto, del vivere-per-lavorare a tutti i costi, del dio pallone, della globalizzazione e dell’apertura mentale, dell’industrializzazione selvaggia, e di rompere quel rigido schema mentale tipicamente lombardo del laùra, übidìs, paga e fà sito che alla lunga è la tomba della nostra autoaffermazione.

[1] Manzoni, nel suo romanzo, attinge informazioni circa la pestilenza in Lombardia anche dall’opera di Lorenzo Ghirardelli Il memorando contagio seguito in Bergamo l’anno 1630, pubblicato nel 1681 dopo la morte dell’autore.
[2] Vedi qui.
[3] Per un resoconto delle vicende relative al contagio nella Repubblica Italiana si veda la voce Wikipedia.
[4] Ne parla il Corriere Bergamo qui.
[5] Si veda a titolo d’esempio questo articolo de Il Post.
[6] Sempre Il Post ne parla qui. La testata, mi rendo conto, ha un ben preciso orientamento ma questi scritti possono essere utili per ricostruire la cronologia degli eventi.
[7] Come saprete è stata istituita una commissione d’inchiesta per i fatti di Alzano, Nembro e Bergamo. Probabilmente l’indagine verrà archiviata.
[8] https://www.confindustriabergamo.it/aree-di-interesse/certificazioni-e-conformita/news?id=34774
[9] https://notizie.virgilio.it/coronavirus-covid-bergamo-sindaco-gori-ho-sbagliato-sottovalutare-mea-culpa-regione-lombardia-1391220
[10] https://www.repubblica.it/politica/2021/01/07/news/coronavirus_bergamo_wuhan_d_italia_lega-281511612/ – In realtà fu Berizzi a utilizzare per primo l’infelice epiteto (in un articolo del 10 marzo 2020).
[11] https://primabergamo.it/cronaca/in-lombardia-cerano-i-morti-per-strada-non-in-ospedale-daniele-belotti-querela-vincenzo-de-luca/
[12] https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2020/07/24/coronavirus-scudo-genetico-sud-italia
[13] https://www.bergamonews.it/2021/07/19/covid-perche-bergamo-e-stata-cosi-colpita-possibile-predisposizione-genetica/454106/
[14] Cito qui il primo rintracciato, ma ve ne sono altri.
[15] https://www.scienzainrete.it/articolo/ritratto-genetico-degli-italiani/alessandro-raveane-serena-aneli-francesco-montinaro
[16] Grugni et al. 2018. Le stime qui riportate ci dicono che l’R1b orobico, nelle valli, ammonta all’80,8%.
[17] https://osf.io/gvxjw
[18] Sembra che i Celti, anche nella Cisalpina, oltre che guerrieri fossero particolarmente prolifici. Vedi qui.
[19] https://www.eupedia.com/europe/Haplogroup_R1b_Y-DNA.shtml#S28-U152

Alcune noterelle sul cognome Sizzi

Blasone dei Sizzo de Noris

Sizzi è un raro [1] cognome bergamasco peculiare della Val di Scalve (tributaria orobica della Val Camonica), le cui origini sembrano però da attribuire al paese di Gandino, in Val Seriana, come ramo della famiglia Rudelli [2]. Secondo alcuni studiosi di araldica (Passerini [3], Tettoni-Saladini [4]) il casato sarebbe di origine toscana, Firenze per la precisione, ma la connessione non è documentata. Il cognome Sizzi (con la forma primigenia, unica, Sizi) è presente, scarsamente, tra il capoluogo toscano e Prato ma a tutta evidenza è un ceppo indipendente da quello bergamasco.

Sizzi potrebbe essere il frutto di un patronimico derivato da una versione ipocoristica di nomi germanici in *sig- (‘vittoria’) [5] che, come in tedesco, o meglio, in antico alto-tedesco, esprime l’ipocorismo, sulla base di leggi fonetiche, mediante la particella -zz- [6]; nella fattispecie, il nome abbreviato è Sizzo, che può essere confrontato con altri vezzeggiativi medievali di origine teutonica quali Frizzo, Azzo, Sigizzo, Uzzo, Wizzo, Gozo e via dicendo, testimoniati da fonti documentarie della Germania meridionale; fra i nomi tedeschi contemporanei vengono in mente Heinz, Fritz, Götz ecc. [7]. Diversi cognomi padani e toscani, frutto della forte impronta culturale – soprattutto longobarda – lasciata dalle élite germaniche, possono essere ricondotti al fenomeno in oggetto: citiamo Frizzi, Albizzi, Opizzi, Oppizzi, Obizzi, Azzi a mo’ d’esempio.

Sizzo è dunque riconducibile a Sighard o Sigfrid, tanto che, come si diceva, si trova anche oltralpe, sparso per la Germania centromeridionale, segnatamente in Turingia dove c’è un Sizzo capostipite della medievale casata di Schwarzburg, ed un principe ottocentesco del medesimo casato, anch’egli chiamato Sizzo [8]. Interessante notare come sia in Germania che in Toscana [9] Sizzo (o Sizo) proceda da Sigizo, ipocoristico già segnalato nelle note.

I Sizzi toscani, di stirpe notabile, sono probabilmente derivati dai Sizi (da Sizo/Sizio, altro vezzeggiativo germanico come abbiamo visto), ed erano una tra le prime famiglie storiche fiorentine, originaria di Fiesole e dunque del contado, imparentata coi Medici, proprietaria di torri e chiese, ricca di consoli e di parte guelfa (vedi segnatamente la testimonianza di Luigi Passerini indicata nelle note, reperibile su Google Libri).

Dante Alighieri cita i Sizi pure nella Commedia, per bocca dell’avo Cacciaguida, come una, per l’appunto, delle famiglie più antiche e illustri della prima cerchia di Firenze, grazie alle origini e al loro impegno consolare:

Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era già grande, e già eran tratti
alle curule Sizii e Arrigucci.

(Paradiso XVI, 106-108)

Il blasone dei Sizi è «losangato di rosso e d’oro» [10] e quello dei Sizzi fiorentini «d’argento, alla banda alata di rosso» [11]. Il primo è visionabile qui, mentre del secondo non ho trovato traccia. L’argento (e prima ancora il bianco), comunque, era tradizionale colore guelfo; rosso ed oro sono, invece, classici colori nobiliari.

Secondo lo storico Lorenz Böninger vi fu, sul finire del ‘300, un’immigrazione di artigiani tedeschi nella città di Firenze tra cui dei “Sizzi” assimilati al tessuto etnoculturale e sociale della città toscana. Nel suo testo [12] egli dedica un capitolo apposito al successo professionale e all’integrazione di tre famiglie ritenute, appunto, di origine teutonica: Riccardi, Sizzi e Frizzi. Se questa tesi è concreta il cognome “Sizzi” sarà una toscanizzazione del casato originale (visto che i Sizi/Sizzi fiorentini esistevano già nel XII secolo). Potrebbe essere la riprova di un antroponimo germanico alla base della cognominazione ma, sicuramente, non vi è alcun legame tra il ceppo bergamasco e questi immigrati d’oltralpe.

Non si può escludere, comunque, che il mio cognome possa essere derivato, forse più verosimilmente (nonostante la radicata moda onomastica medievale di gusto germanico), dal nomen latino Sittius, (vedi la gens romana Sittia), il cui oscuro etimo potrebbe venir accostato a qualche significato connesso alla siccità, all’aridità, alla sete e dunque in senso lato alla brama [13]. Fra l’altro, i toponimi Siziano (Pavia) e Sizzano (Novara) credo siano da ricondurre al gentilizio latino in oggetto (anche alla luce della classica desinenza prediale latina -anus). Inoltre, per il Bergamasco, un atto del 1184 relativo alla località di Isola di Fondra (Val Brembana) ci tramanda il nome di un certo Sizio, evidentemente radicato anche nel nostro territorio [14].

In toscano esiste, curiosamente, il termine sizio [15], che indica un lavoro sedentario (vedi tedesco Sitz ‘seggio’), oppure un lavoro penoso (rifacendosi, in questo caso, all’espressione evangelica del Cristo in croce «Sitio» ossia «Ho sete»). Un’altra voce toscana interessante è sizza [16], “soffio di tramontana”, dal latino sidus ‘freddo’. Ma queste ultime voci si confanno, chiaramente, ai Sizzi gigliati; nel caso bergamasco, il mio, il casato Sizzi deve il suo nome sicuramente ad un patronimico, germanico o latino che sia.

Stando alle testimonianze incrociate di Passerini, Tettoni-Saladini e dell’Archivio di Stato di Firenze (interpellato anni orsono), il capostipite dei Sizzi fiorentini fu un certo Sizzo, della famiglia dei Sizi (le cui radici affondano almeno nel XII secolo), console di Firenze nel 1201. Quello bergamasco, come detto più sopra, era un membro della casata dei Rudelli, separatosi nel basso Medioevo. Si veda l’opera di Tullio Panizza citata nelle note. Rudelli è un tipico [17] cognome bergamasco, che suppongo derivato dal gentilizio romano Rutilius il cui significato va rintracciato letteralmente nel colore rosso o biondo scuro della capigliatura [18].

Dopo la battaglia di Montaperti del 1260, in cui i ghibellini senesi sconfissero i guelfi fiorentini, pare che alcuni Sizzi gigliati, stando alla testimonianza di Passerini e Tettoni-Saladini, ma anche di Roberto Ciabani [19], prendessero la via dell’esilio trapiantandosi altrove (persino in Francia) dandosi alla mercatura. Non ci sono comunque documenti che attestino la presenza di questi esuli toscani nel Bergamasco. Il fatto che il mio cognome sia presente a Bergamo e a Firenze – sebbene in ceppi distinti e indipendenti – può essere, qualora sia di etimo germanico, attestazione del prestigio goduto dai Longobardi tanto in Lombardia quanto in Toscana, e infatti diversi cognomi presenti nella prima ritornano nella seconda (forse pure per fenomeni migratori lombardi medievali [20]).

Ho notato che vi sono dei Sizzi anche a Taranto ma, documentandomi in passato, grazie alla testimonianza di alcuni di loro ho scoperto che non sono dei Sizzi reali (bergamaschi o fiorentini) bensì Ziz giuliani (di Pola) italianizzati durante il fascismo e trasferitisi in Salento nel secondo dopoguerra. Il loro cognome originario dovrebbe essere un etnico riferito alla Cicceria, regione storica del Carso terra degli istroromeni [21].

Dall’orobica Valgandino i Sizzi, derivati dai Rutellis de Noris (Rudelli e Noris sono ancor oggi cognomi squisitamente bergamaschi), si spostarono, sul finire del ‘300, a Brescia (ramo estinto) e a Trento – venendo ascritti alla nobiltà imperiale come Sizzo de Noris – dove tuttora risiede un conte discendente del vescovo-principe di Trento Cristoforo Sizzo de Noris. Le vicende dei Sizzo trentini sono state ricostruite, come ricordato supra, dall’araldista tridentino Tullio Panizza, nelle opere citate in calce all’articolo.

Non ho notizie di legami del mio ceppo famigliare paterno con questa aristocratica prosapia; come è noto chi, oggi, porta un cognome “illustre” lo ha ereditato biologicamente, con tutta probabilità, da coloni più che dai nobili medesimi. Ricordo solamente che in famiglia circolava una diceria di un prozio sacerdote (don Ariele Sizzi) relativa ad una lontana origine austro-ungarica, sicuramente motivata dai Sizzo de Noris di Trento (che però sono, appunto, originari del Bergamasco).

Ad ogni modo, io discendo dai Sizzi rimasti in Val Seriana, che poi verso l’800 si trasferirono in Val di Scalve, a Vilminore, e non so dire, come accennato, se questi fossero nobili spiantati o valligiani un tempo al servizio dei Sizzi patrizi. I Sizzi seriani sono documentati come una delle famiglie laniere del territorio di Gandino, parliamo del XVI secolo [22]. Bisognerebbe condurre serie e approfondite ricerche d’archivio per saperne di più. Comunque sia la provenienza etno-geografica è fuor di dubbio. Panizza riporta anche le oscillazioni grafiche del cognome Sizzo de Noris: Sicci, de Siciis, Sitius, Sitz, Siz, Sizo, Sizzi, Sizza.

In apertura ho inserito il blasone dei nobili trentini, riportato da Tettoni-Saladini e così descritto: «ancora di nero a 2 marre su scudetto di argento su – aquila di nero su oro – barca con albero e bandiera bifida svolazzante a destra recante 2 bambini nudi che si danno la mano tutto di argento su mare fluttuoso di azzurro su azzurro». Direi che l’aquila nera su sfondo dorato è un chiaro tributo al Sacro Romano Impero.

Per concludere la vicenda dei Sizzi bergamaschi diremo che, una volta estintosi il ramo gandinese, alcuni degli scalvini – divenuti artigiani – presero la via del Milanese e della pianura bergamasca; tra quest’ultimi mio nonno, divallato alla volta di Brembate di Sopra (pochi giorni prima del disastro della diga del Gleno, 1 dicembre 1923, a quanto sembra) dopo aver sposato una donna di Azzone, sempre in Val di Scalve. Impiantatisi a Brembate, i Sizzi si dedicarono, oltre al mestiere di artigiani, alla coltivazione e all’allevamento e, ovviamente, proliferarono. La mia famiglia nasce dunque dall’incontro fra le Orobie e l’Isola bergamasca.

Infine, una curiosità genetica di cui avrò modo di riparlare: come già dissi in passato, il mio lignaggio paterno (determinato dall’aplogruppo Y R1b-U152 (scoperto con il test di 23andMe) clade Z36 (celtico di La Tène [23][24], appurato grazie ad YSEQ) è diffusissimo nella Lombardia etnica (il bacino del Po) segnatamente orientale dove registra il suo picco “italiano” [25]. Anche questo depone a favore di un’origine indigena dei Sizzi bergamaschi, per quanto, da umanista, vedere un’omonimia nei Sizii fiorentini citati da Dante nell’acme paradisiaca del suo capolavoro letterario abbia indubbiamente un certo fascino [26].

[1] Vedi Gens Labo e Cognomix.
[2] Le notizie circostanziate sui Sizzi bergamaschi e i Sizzo de Noris sono tratte da Tullio Panizza, Famiglie nobili trentine d’origine bergamasca. In: Bergomum – A. 8 (1933) e Tullio Panizza, Secondo contributo alla storia di famiglie nobili della Venezia Tridentina di origine bergamasca. In: Bergomum – A. 9 (1934).
[3] Luigi Passerini, Memorie storiche intorno alla famiglia fiorentina dei Sizzi, Milano, 1855.
[4] Leone Tettoni, Francesco Saladini, Teatro araldico ovvero raccolta generale delle armi e delle insegne gentilizie delle più illustri e nobili casate che esisterono un tempo e che tuttora fioriscono in tutta l’Italia, Milano, 1847.
[5] Vedi Cognomix.
[6] Si vedano queste fonti reperite su Google Libri, dove si suggerisce che il vezzeggiativo Sizzo derivi da Sigizo, a sua volta diminutivo di Sigfrid.
[7] ibidem 
[8] Sizzonen
[9] Cfr. questa ricerca su Google Libri.
[10] Ceramelli Papiani 
[11] ibidem
[12] Die deutsche Einwanderung nach Florenz im Spätmittelalter, Leida, 2006, opera citata dal primo volume de La mobilità sociale nel Medioevo italiano, di Lorenzo Tanzini e Sergio Tognetti (Viella, 2016), presente su Google Libri.
[13] Dizionario Latino Olivetti
[14] Cenni storici
[15] Dizionario Etimologico Online
[16] ibidem
[17] Gens Labo
[18] Rutilio
[19] Le famiglie di Firenze, Bonechi, 1992. Tra i Sizzi toscani val la pena ricordare Francesco, astronomo fiorentino avversario di Galileo.
[20] Leonardo Rombai, Geografia storica dell’Italia, Le Monnier, 2002, p. 189.
[21] Nota di Marino Bonifacio di Trieste sulla Rivista Italiana di Onomastica, anno XXV (2019).
[22] Museo della Basilica di Gandino
[23] Eupedia
[24] «The Z36 sub-clade has also been associated with Celtic populations; as it occurs in moderately high frequencies, approximately 30-40%, in Italy including, Liguria and Lombardy, France, southwestern Germany (specifically Baden-Württemberg), and western Switzerland» Tratto da Mallory J. Anctil, Ancient Celts: A reconsideration of Celtic Identity through dental nonmetric trait analysis, 2020, consultabile qui.
[25] «Northwestern Italy has a very high percentage of haplogroup R1b (around 70 %) with the highest proportions in the area of Bergamo […]. In this pre-alpine region […] the percentage of individuals with haplogroup R1b-U152 is around 50 % […]. This local present day hotspot for haplogroup R1b-U152 fits quite well the ancient habitats of Celtic cultures» Tratto da questo studio di Martin Zieger e Silvia Utz, che cita quello di Grugni et al. 2018 in cui, per la Bergamasca, si danno le seguenti stime di R-U152: 46,2 per le valli e 53,2 per la pianura. Globalmente, R1b raggiunge l’80,8% nelle valli orobiche (il 70,9% in pianura).
[26] Ricordiamo, per completezza, che l’aplogruppo R-U152 è ben rappresentato anche in Toscana dove, tuttavia, è più probabile una sua filiazione villanoviana (vedi il collegamento ad Eupedia citato alla nota 23). In Lunigiana (che tecnicamente non è Toscana, bensì crocevia tra Liguria ed Emilia) sarà invece, più probabilmente, segnale ligure apuano, come suggerito da questo studio di Bertoncini et al. 2012. U152 è, genericamente, ritenuto una mutazione legata a genti protostoriche centroeuropee che irradiarono, pure verso sud, culture che potremmo definire italo-celtiche. In tale novero rientrano Celti, Liguri, Italici e Veneti, anche nella loro fase embrionale.

Paolo Sizzi, una biografia

Il Sizzi

Paolo Sizzi nasce venerdì 5 ottobre 1984, alle 10:25, presso la clinica di Ponte San Pietro (Bergamo). Terzo di tre figli, appartiene ad una famiglia bergamasca dalla notte dei tempi e di estrazione rustica che lo cresce secondo i dettami cattolici e tradizionalisti. Il ramo paterno è originario della Val di Scalve, mentre quello materno è nativo dell’Isola, ossia di quel territorio incuneato tra i fiumi Adda ad ovest e Brembo ad est. La coscienza e l’orgoglio identitari, derivanti da un fortissimo senso di appartenenza, non abbandoneranno mai il giovane orobico, segnando indelebilmente il suo percorso ideologico-politico e portandolo ad una adesione entusiastica al pensiero etnonazionalista.

Seppur residente a Brembate di Sopra, a mo’ di segno del destino, Sizzi frequenta l’asilo di Cerchiera, frazione di Pontida, a poca distanza da quell’abbazia che secondo la tradizione fu sede del celebre giuramento, atto fondativo della Lega Lombarda (7 aprile 1167). Questo offre il destro per ribadire, ancora una volta, come la vera Lombardia sia l’intero settentrione della Repubblica Italiana, e non soltanto l’artificiale regione del Pirellone; la Lombardia è la Padania medievale, grazie a cui potevano dirsi lombardi tanto a Vercelli quanto a Ferrara (Dante insegna) e tanto a Bergamo quanto a Treviso. Del resto, ‘Piemonte’ ed ‘Emilia’ non vogliono dire nulla, e il Triveneto (concetto risorgimentale), prima dell’espansione del veneziano, parlava lombardo, come testimoniano ladino e friulano che gli sono affini.

Nel paese dell’Isola suddetto, Brembate di Sopra, Sizzi cresce e frequenta le vecchie scuole elementari e medie, rimanendo nell’ambito di parrocchia e oratorio, da cui del resto si distaccherà alla soglia dei 25 anni. L’educazione impartita dalla famiglia all’Orobico è rigorosamente cattolica osservante, ma assieme a ciò trova spazio una vigorosa presa di coscienza identitaria che lo ancora solidamente al territorio bergamasco e lombardo concretizzandosi, ad esempio, nell’uso quotidiano dell’idioma di Bergamo, pressoché unica lingua impiegata in ambito famigliare, con orgoglio. È suggestivo che Brembate Superiore si trovi a metà strada fra Sotto il Monte – paese natale del Roncalli – e la già citata Pontida, quasi a rimanervi doppiamente influenzato; d’altra parte, il giovanissimo Paolo matura negli anni ruggenti del leghismo secessionista.

Dopo le medie inferiori, nel 1998, ecco le superiori in Bergamo, grafica pubblicitaria presso un istituto professionale. L’impatto con la realtà cittadina rappresenta per il rustico virgulto brembatese un’esperienza spiazzante; Sizzi deve misurarsi con un ambiente caratterizzato da pluralismo (tanto etnico – significativa presenza di italiani etnici e qualche gettone allogeno – quanto ideologico) e dall’inevitabile strascico frutto di un relativismo ormai imperante presso la gioventù occidentale: blasfemia, libertinaggio, immoralità, crisi valoriale, progressismo, deviazioni assortite, uso e abuso adolescenziale di bacco e tabacco (e non solo), deliri da centro sociale, occupazioni/autogestioni e via di questo passo. Superfluo dire che questi 5 anni acuiranno il temperamento reazionario del Nostro, portandolo ad un’idiosincrasia per tutto quello che puzza di sinistra mondialista e libertarismo.

Ottenuta la maturità nel 2003, Sizzi consegue un attestato post-diploma in e-commerce, per perfezionare le conoscenze multimediali. Ma la vera svolta, assieme alle prime esperienze lavorative, è data dall’iscrizione alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bergamo, coronando la propria passione umanistica, sopitasi negli anni precedenti a vantaggio della vena grafica e artistica. Paolo si laureerà nel 2014 in Lettere, e nel 2017 diverrà dottore magistrale in Culture moderne comparate. Il periodo universitario coincide con la scoperta dell’etnonazionalismo, risalente al 2006; una rivoluzione ideologica e culturale nel mondo dottrinale dell’Orobico, principio della personale saga lombardista. Cerchiamo di ripercorrerne le tappe salienti.

Nel 2006, come detto, Sizzi si avvicina all’etnonazionalismo, grazie alle opere di Federico Prati divulgate sulla rete da un forum völkisch della vecchia Politica On Line; parimenti, il Nostro comincia ad appassionarsi all’antropologia fisica – dunque alla craniologia – e alla genetica delle popolazioni, scoprendo gli scritti antropologici di alcuni autori fondamentali quali Coon, Biasutti, Sergi, Günther, von Eickstedt, Lundman, Deniker, Hooton, Angel, Baker e altri, e seguendo i vari studi in materia di genetica via via pubblicati anche su internet, a partire dalla fondamentale opera di Cavalli-Sforza e dei suoi collaboratori. La biologia e la razziologia ricoprono un ruolo basilare nel pensiero sizziano, perché se l’identitarismo non è etnoantropologico si riduce a flatus vocis, soprattutto alla luce della situazione “italiana” (cioè di un quadro pseudonazionale, data la sua estrema diversità).

Nel medesimo anno Paolo scopre il Fronte Indipendentista Lombardia, soggetto nato da fuoriusciti leghisti in polemica con Bossi, e comincia ad interessarsi alla questione nazionale lombarda nella sua reale estensione etno-storica; l’etnonazionalismo lo distacca pian piano dalla sfera reazionaria e cattolica, in favore di una dimensione più intimamente legata alle origini e alle radici (anche spirituali) cisalpine. Due anni più tardi si tessera per il FIL entrando in contatto con diversi indipendentisti lombardi, fra cui il compianto Simone Riva. Sino al 2010 collaborerà con quest’ultimi al progetto di un coerente e radicale movimento lombardista che – con loro – non verrà mai alla luce. In compenso Sizzi conosce Adalbert Roncari, con cui stringe un sodalizio che porterà alla fondazione del Movimento Nazionalista Lombardo (2011) e di Grande Lombardia (2013).

Nel 2009 il Nostro getta le basi del lombardesimo mediante la creazione di alcuni blog. Il lombardesimo è l’etnonazionalismo lombardo, ovviamente indipendentista, che rappresenta il fecondo incontro fra il filone völkisch e l’identitarismo cisalpino; inizialmente esso incarna anche una durissima polemica contro il cristianesimo, dopo che Sizzi decide di abbandonare la fede cattolica per sposare una linea culturalmente paganeggiante e spiritualmente nativista, senza comunque aderire ad alcun credo specifico. Sono, infatti, gli anni dell’etno-razionalismo, un connubio che conduce il Bergamasco ad una visuale tendenzialmente atea ma rispettosa dei culti tradizionali europei. Sempre nel 2009 Sizzi diviene membro del senato accademico di Bergamo per la facoltà di Scienze umanistiche (Lettere), esperienza che lo espone all’inquisizione progressista con conseguenti denunce per i caustici contenuti dei suoi blog. Da questa vicenda matura il noto infortunio giudiziario per reati d’opinione: offese al PdR e istigazione alla discriminazione razziale.

Come ricordato, la fondazione del primo soggetto lombardista, l’MNL, risale al 2011, e il campo d’azione era rappresentato dalla Lombardia etnica, cioè il territorio nazionale lombardo racchiuso dal bacino del Padus (Insubria, Orobia, Emilia fino al Panaro, Piemonte); successivamente, nel 2013, il Movimento confluisce in Grande Lombardia e apre all’intero panorama storico lombardo, ossia alla Padania nella sua globalità. La riflessione sizziana, tuttavia, non si fermerà qui, e nell’aprile 2014 Paolo decide la svolta: esce da GL e coniuga l’istanza etnicistica con l’idea di un federalismo italico, per cercare di non buttare il bambino assieme all’acqua sporca. Questa sorta di etnonazionalismo patriottardo, in senso antico-romano ma per nulla statuale/repubblicano, si prefigge il recupero della nobiltà dell’ideale panitaliano, senza comunque rinnegare il prima lombardista ma adeguandolo alla nuova bisogna. Per un settennio la linea di Sizzi sarà, dunque, etnofederale, italico-romana, lombardista epperò sposata ad un italianismo che si voleva animato da un sacrale afflato ispirato alla terra di Saturno.

Ciononostante, questa esperienza, caratterizzata anche da diversi anni di collaborazione con il consorzio di EreticaMente, sarà destinata ad esaurirsi nell’estate del 2021, sia per un rinnovato fervore lombardista di Paolo, desideroso di radicalità, sia per le riflessioni maturate alla luce dei più recenti studi di genetica delle popolazioni, che sottolineano non solo l’eterogeneità italiana (unica nel continente) ma pure il dato esotico, antico e recente, che contraddistingue l’Italia vera e propria, cioè la Penisola e la Sicilia. Cosicché, per ragioni di coerenza, serietà e maturità, Sizzi abbandona l’italianismo, ancorché etnofederale, e riabbraccia la causa lombardista tornando sulle primigenie posizioni etnonazionaliste in chiave panlombarda. Il blog da cui si scrive nasce da tale riscoperta delle origini, conseguenza della chiusura del vecchio Il Sizzi, e questa volta non si tornerà più indietro. Unica sensibile differenza, rispetto agli albori del 2009, sta nella cessata ostilità nei riguardi del cristianesimo cattolico (tradizionalista), per cercare una convergenza tra lo spirito pagano e quello romano-cristiano d’Europa.

Attualmente Paolo Sizzi non fa parte di alcun movimento o associazione, ma rimane idealmente vicino alle posizioni di MNL e GL, soggetti da lui fondati. Indipendentemente dalla militanza, la testimonianza sizziana continua all’insegna del lombardesimo dei primordi, insistendo soprattutto sulla bontà del panlombardismo etnico; va da sé, comunque, che anche i restanti territori cisalpini siano parte integrante della propria idea di Lombardia, essendo storicamente ancorati alla dimensione padano-alpina e, dunque, granlombarda. Non avrebbe senso, infatti, lasciare Liguria, Romagne, Venezie, Friuli, Trentino e Tirolo meridionale al proprio destino: devono anch’essi partecipare al consesso lombardo, sebbene non rientrino nell’ambito propriamente etnico. Da notare che la divulgazione delle idee sizziane è stata agevolata da alcune interviste (televisive e radiofoniche) e da qualche polemica sulle reti sociali animata persino da noti tromboni liberal; il regime cerca in ogni modo di mettere in cattiva luce chi esce dal coro di belanti pecoroni antifascisti, ma così facendo gli regala visibilità e pubblicità. Ecco il perché del mio espormi con nome, cognome e faccia, nonostante tutto e tutti.

Oggi, assieme al lavoro, Sizzi porta avanti il proprio impegno, soprattutto culturale, per rendere giustizia all’identità etnica e storica lombarda, dopo essersi assestato sulle posizioni etnonazionaliste primigenie. Egli auspica l’autoaffermazione delle genti lombarde tutte, e di conseguenza un’Europa delle (vere) nazioni affrancate da ogni giogo statolatrico (e sovranazionale) insensibile ai richiami di sangue, suolo e spirito. La cultura è fondamentale, per riscoprire se stessi, e l’Orobico vuole insistere per l’appunto sulla bontà della battaglia identitaria, che viene prima di quella politica. Non si esclude, in futuro, una nuova sfida lombardista in chiave associazionistica, ma per il momento ciò che importa è non perdere di vista la basilare dottrina völkisch, declinandola in senso etnoantropologico e spirituale; la tenzone culturale va portata avanti giorno dopo giorno, in nome dei valori più alti e nobili che animano uomini e donne desiderosi di vera identità, dunque di vera libertà.

SL

Ritorno alle origini

P. Sizzi

Un anno fa, dopo un settennio trascorso all’insegna della conciliazione fra pensiero lombardista e italianismo etnofederale, decisi di riabbracciare in toto il lombardesimo delle origini, tornando sulle mie posizioni etnonazionaliste iniziali incentrate sull’autodeterminazione lombarda e sull’identitarismo etnico applicato al contesto cisalpino. Tale svolta fu il frutto di una riflessione estiva motivata dall’esigenza di una rinnovata coerenza comunitaria (dunque nazionale e sociale), dove sangue, suolo e spirito venissero ricollocati al centro del dibattito senza più compromessi; la decisione fu agevolata dalla pubblicazione di alcuni studi di genetica delle popolazioni (da affrontare più avanti) che ribadivano con forza non solo la straordinaria eterogeneità – unica in Europa – di ciò che oggi chiamiamo Italia, ma anche quanto andava emergendo nelle ricerche degli anni precedenti: il contributo esotico, antico e recente, al genoma italico, ossia centromeridionale (segnatamente meridionale).

Avremo modo di parlare compiutamente della questione genetica italiana, ma sin da ora appare utile sottolineare come il dato biologico, nell’ottica sizziana, rimanga fondamentale al fine di plasmare un concreto e lineare pensiero politico-ideologico che poggi su solide basi etnoantropologiche: stirpe e terra, dunque la patria sublimata dal radioso spirito indoeuropeo, sono sempre state le irriducibili guide della visione del mondo del sottoscritto, non per razzismo o suprematismo ma per questioni di serietà, trasparenza e coerenza; il dato razziale (inteso come origine, nazione, discendenza) esige una salutare radicalità che nelle destre di ogni tempo viene meno ma che in ambito etnonazionalista rappresenta il fulcro della filosofia völkisch.

Il Sizzi nasce lombardista, l’originalità del lombardesimo fa parte della sua cifra ideologica e politica, nonché culturale ed antropologica, ed era dunque giusto e doveroso recuperare il senso del messaggio primevo lasciandosi alle spalle l’esaurita esperienza italianista. A maggior ragione è doveroso in un momento in cui trionfa il sovranismo tricolore sposato persino da coloro che un tempo si dicevano padanisti ma che, in realtà, sono sempre stati ambigui, ondivaghi e opportunisti. La Lombardia, ovviamente nella sua accezione etno-storica, non ha affatto bisogno di patriottismo italiano (non essendo Italia in senso nazionale) bensì di identitarismo genuino e di affrancamento da ogni giogo imposto dal sistema-mondo, a partire dalla gabbia statolatrica romana.

L’indipendentismo è dunque la logica conseguenza dell’azione metapolitica e politica lombardista, sebbene personalmente abbia sempre visto la dottrina etnonazionalista come prioritaria; infatti, l’etnonazionalismo presuppone, nel contesto padano-alpino, l’istanza indipendentista, ma non viceversa. Sappiamo, per l’appunto, che il separatismo europeo è solito sventolare lacere bandierine progressiste, a differenza del lombardesimo che è invece degna espressione etnonazionale del pensiero völkisch. Una comunità, una patria, un insieme di popoli omogenei coesi da identità e tradizione trovano il proprio fondamento nella natura e nella cultura, non certo nelle chiacchiere (o, meglio, nelle fanfaluche) della sinistra internazionalista che vede fascisti e razzisti in ogni dove.

Alla luce di quanto esposto era meritorio, da parte mia, un recupero integrale della dottrina lombardista – del resto da me forgiata – e un conseguente riavvicinamento agli storici sodali e al soggetto da me fondato, Grande Lombardia, erede del Movimento Nazionalista Lombardo (anch’esso frutto delle elucubrazioni e dell’azione sizziana). Attualmente GL è ibernata ma rimane l’unica associazione ideale nel panorama (meta)politico cisalpino, pur non appartenendovi più; i capisaldi della compagine sono quelli del sottoscritto, a partire da etnonazionalismo e panlombardismo. Unica differenza sta nel fatto che, nel tempo, ho abbandonato il ripudio del cristianesimo cattolico, optando per una conciliazione tra le due grandi componenti spirituali europee: la cristiana e la gentile (per quanto quest’ultima, oggi, sia inconsistente).

Precisiamo: non mi ritengo religioso e men che meno osservante ma le nostre radici sono indubitabilmente cattoliche, romane e ambrosiane. Per come la vedo, il cattolicesimo va preservato in senso tradizionale e preconciliare, prendendo le distanze dalla contemporanea deriva mondialista della Chiesa, e per quanto possa essere opera velleitaria la Lombardia dovrebbe adottare la visione integrista sganciandosi così dal Vaticano. Un cristianesimo latino sano condanna le contaminazioni giudaiche ed ecumeniste, così come la patetica tendenza al sincretismo buonista che grazie a Bergoglio ha subito un’impennata. Ricordiamoci che il Cristo è l’erede della solarità e dello spirito uranico indoeuropeo, e la rinascita della pietas continentale sta nella salvaguardia della tradizione, non certo nella difesa di un mellifluo monoteismo denominato abramitico (in sostanza, una concessione agli eretici, agli scismatici e soprattutto ad ebrei e musulmani).

La religione è comunque argomento secondario, ai fini politici e ideologici, e la vera svolta del mio personale credo sta nel ritorno alle origini lombardiste dure e pure, abbandonando l’italianismo, ancorché etnofederale, e riprendendo le fila del discorso interrotto nell’aprile 2014. La Lombardia, intesa come nazione storica permeata di schietta identità galloromanza cisalpina, non può dirsi Italia, in quanto figlia di una temperie etnoculturale che si colloca a metà strada fra Mediterraneo ed Europa centrale. L’Italia vera e propria è, invece, l’ambito peninsulare e insulare (Corsica e Sicilia) coeso dal dato italico-romano, romanzo orientale, puramente meridionale (nel quadro europeo) e influenzato dal mondo greco. Ritengo non si tratti di materia opinabile, anche perché lo stesso nome ‘Italia’ nasce nell’estremo sud ausonico.

Va da sé che il passo successivo al riconoscimento delle specificità lombarde, sia nei confronti dell’Italia che del resto d’Europa, riguardi l’indipendentismo, l’affrancamento identitario volto all’autodeterminazione delle genti padano-alpine, ancorché possa parere utopico. Nell’ottica di un’Europa delle vere nazioni, finalmente liberata dagli enti sovranazionali mondialisti, la Lombardia trova il suo spazio, ovviamente come realtà etnica allargata a tutti i popoli che possono dirsi cisalpini/lombardi; il punto di partenza è il bacino padano, cioè la Lombardia etnica, per poi giungere a tutto quanto il quadro settentrionale, che è la Grande Lombardia del Sizzi.

Lasciandomi alle spalle il periodo italianista, voglio intraprendere di nuovo il cammino völkisch, soprattutto per essere d’esempio ai più giovani, che giustamente anelano a quella intransigenza identitaria che passa per la riscoperta del patrimonio etnoantropologico natio. Non tornerò mai più indietro ma insisterò sulla bontà dell’etnonazionalismo, che a mio dire è l’unica ideologia capace di dare un senso profondo e rinnovato alle legittime aspirazioni patriottiche di popoli troppo spesso imprigionati in mere entità statuali, totalmente prive di connotati etnici e nazionali unitari. È questo il caso della Repubblica Italiana, espressione di un Occidente massificatore e standardizzante a guida americana che tiene completamente in non cale identità e tradizione. Riscoprire i primordi lombardisti è dunque basilare, e il mio augurio è quello di essere un modello positivo per tutti coloro che non piegano il capo di fronte all’omologazione di nazioni annichilite e umiliate da una globalizzazione inevitabilmente priva di valori, in quanto beceramente fondata sull’arido dato finanziario.

Presentazione

Paolo Sizzi

Salute a tutti voi, chi scrive è Paolo Sizzi, cultore di lombardità sulla rete ormai da 16 anni. Ho aperto questo nuovo spazio virtuale nell’autunno scorso, sentendo l’esigenza di riconciliarmi pienamente con le mie origini, nonché con la mia terra e la sua vera natura. Coloro che mi seguono avranno notato che ho rimosso gli articoli precedenti, dopo aver tenuto il sito privato in modalità provvisoria, contestualmente all’abbandono marzolino del vecchio “Cinguettatore”. Tale scelta deriva da motivi, per così dire, professionali, che mi hanno spinto ad una riconsiderazione della mia presenza sul web, accantonando per il momento questioni politico-ideologiche e, soprattutto, cambiando registro comunicativo. Non ho voluto, tuttavia, sacrificare Lombarditas, e si è deciso, dunque, di privilegiare il lato culturale dell’opera sizziana – sperando di fare cosa gradita ai lettori – a vantaggio di scientificità e imparzialità.

In questo blog, come anticipato nelle Informazioni, troveranno posto le classiche tematiche a me care, discusse dal 2006 a questa parte: storia, geografia, linguistica, dialettologia, araldica, onomastica, cognomastica, toponomastica, folclore, così come i “cavalli di battaglia” del sottoscritto, antropologia (fisica) e genetica delle popolazioni. Di politica, metapolitica e ideologia tratterò in altra sede; qui, allo stato dell’arte, si è scelto di dare degno risalto a tutto quello che concerne la cultura bergamasca e lombarda, dove ‘lombarda’ significa cisalpina, a partire dal nucleo fondante della nostra realtà etnica e nazionale, che è il bacino padano. Non mancherò di dare uno sguardo anche all’Italia e all’Europa.

Ho preservato gli articoli, scritti in tutto questo tempo, valevoli da un punto di vista culturale, e che per questo riproporrò senz’altro, con i dovuti aggiornamenti e miglioramenti. Essendo il frutto di un lavoro di studio e di ricerca, appare salutare un recupero del materiale più pregevole, aumentandone lo spessore scientifico con note, citazioni, bibliografia e/o sitografia. Il nuovo taglio assunto da questo giornale di bordo su internet, a differenza dell’impostazione originaria, pone maggior enfasi sull’erudizione, sebbene la divulgazione sia sempre stata l’intento principale dei miei scritti. Come ho più volte ricordato, a che pro darsi all’impegno ideologico e politico se non si sa nulla della storia del proprio territorio, della sua identità e del peculiare profilo delle genti che lo abitano? insomma, se non ci si conosce?

Oltretutto, si vuole raggiungere un duplice obiettivo: da una parte continuare la storia sizziana di trattazione etnoantropologica (segnatamente lombarda), dall’altra rendere affascinante, agli occhi soprattutto dei più giovani, la disamina di tutto quello che concerne la patria alpino-padana, una patria che Carlo Cattaneo definiva “artificiale” in quanto «immenso deposito di fatiche». Il pensiero del sottoscritto ormai è ben noto, e in attesa di tempi più propizi è giunto il momento di dare spazio alla cultura a tutto campo, senza per questo rinunciare alla discussione antropogenetica, che non verrà snaturata. Sarà per me un onore e un vanto riuscire a conquistare l’attenzione delle generazioni lombarde, in nome di quel sentimento d’appartenenza comunitario che è linfa vitale di ogni popolo.

Potremmo dire che questa è una novella, intrigante, tenzone poiché si vuole dimostrare come, al di là della visione politica lombardista – e quindi della personale prospettiva etnonazionalista – esista un insieme di genti etnicamente e storicamente lombarde ben differenziate nel quadro europeo, a partire dal confronto con la Penisola vera e propria, che è la primigenia Italia mediterranea, italica, romana e influenzata dal mondo greco. Il mio punto di vista non può, certamente, essere del tutto neutro, ma, conciliando le esigenze di cui sopra con la volontà di adottare un’ottica razionale, cercherò di illustrare, senza faziosità, la bontà del sentimento patrio in chiave grande-lombarda. Attenzione: la “Grande Lombardia” non è una velleità espansionistica dello scrivente, è semplicemente il nome impiegato per definire il contesto subalpino storico, in quanto sovrapposizione della Langobardia (Maior) alla (Gallia) Cisalpina. Non si parla certo di opinioni.

Avrò modo di citare diverse fonti documentarie utili a chi ha l’interesse e il piacere di approfondire quanto verrà trattato, perché lo scopo principale di questo spazio virtuale rimane quello di suscitare un desiderio di conoscenza con ricadute concrete sul sapere dei lettori. La grande sfida che riguarda il presente e il futuro dei nostri popoli concerne la salvaguardia del patrimonio tradizionale, mortalmente minacciato dalla società mondializzata, e questo dovrebbe essere un dovere trasversale da parte di tutti i lombardi, nello specifico, e degli europei, in generale. Se la lingua, la tradizione, l’identità, la mentalità, gli usi e costumi e, non da ultimo, l’etnia di una nazione muoiono a rimetterci non sono solo le fasce della società più avanti negli anni ma anche, e soprattutto, i più giovani e coloro che verranno. Avrà ancora un senso chiamare ‘Lombardia’ la Lombardia?

Anche per questa ragione, e non solo per quella palesata in apertura, appare utile avvicinare alle tematiche trattate coloro che sentono il bisogno di ampliare lo scibile in materia di lombardità – come da titolo di questo blog – poiché le Lombardie sono una ricchezza di ogni lombardo, e hanno il diritto di difendere le radici per alimentare un futuro roseo che passi per l’autodeterminazione dei propri virgulti. Naturalmente non rinuncerò mai alle mie idee e al mio retroterra ideologico e dottrinale, frutto del profondo legame col territorio orobico e padano-alpino, ma vorrei passasse il concetto che lo spirito d’appartenenza non è appannaggio di qualche movimento o partito (che, peraltro, nel tempo si è perso per strada). Ogni riferimento a via Bellerio è puramente casuale…

Lombarditas mira, quindi, al recupero di quel sano orgoglio lombardo che non significa odio, razzismo, discriminazione, bensì amore e rispetto, anzitutto per se stessi, per il proprio suolo natio, per la propria cultura; i lombardi possono dirsi etnia e nazione, come i sardi e gli italiani etnici. Togliamoci dalla testa l’idea che difendere l’identità sia un attacco nei confronti degli altri, poiché solo dalla difesa del rispettivo onore comunitario può nascere il riconoscimento di quello altrui. Qualcuno storce il naso perché parlo di ‘nazione lombarda’? Che dire, dunque, della Confraternita dei Lombardi in Roma, una compagnia religiosa creata per dare assistenza spirituale e materiale ai lombardi presenti nella capitale italica nel XV secolo, la cui denominazione seriore fu “Arciconfraternita dei Santi Ambrogio e Carlo della Nazione Lombarda”? La fierezza per i relativi natali non può essere preclusa alle popolazioni europee, a differenza di quelle del Sud del pianeta: il rullo compressore della globalizzazione capitalistica è una minaccia per tutti gli uomini, senza distinzione.

Vi auguro buona lettura e buona discussione, invitando a mantenere, nei commenti, toni civili e rispettosi, proprio perché l’intenzione è quella di confezionare un prodotto di qualità che, anche nel confronto, possa rappresentare un’occasione di edificazione per tutti, in particolare, torno a dire, pei più giovani. I commenti riguardo ideologia e politica non sono banditi, ma vi raccomando di non andare fuori tema e di rispettare questa nuova veste contenutistica del blog. Prossimamente rifletterò sull’opportunità di riprendere qualche tematica di trattazione (meta)politica, anticipandovi che in cantiere c’è dell’altro, ma di questo parleremo poi. Sfruttare la dimensione educativa dello strumento internettiano, soprattutto oggi, è un’occasione da non lasciarsi sfuggire, eziandio per il giovamento di ciò che, spregiativamente, viene liquidato come localismo.

P.S.: mi potete trovare sui nuovi profili Twitter e Instagram, da cui, fra le altre cose, diffondo gli articoli del weblog. Attualmente sono account incentrati per lo più sulla divulgazione culturale, a mo’ di appoggio all’opera di Lombarditas. Parimenti, vi segnalo il canale Telegram omonimo nel quale pubblico, con cadenza settimanale, dei brevi video circa la natura delle Lombardie, affiancato dal nuovo canale YouTube. A quanti vorranno contattarmi o chiedere in merito ad approfondimenti e questioni varie, ricordo l’indirizzo di posta elettronica lombarditas@gmail.com.